Capitolo 7: Gli anni '70: La rivoluzione dei diritti civili

Obiezione di coscienza al servizio militare, divorzio, aborto, voto ai diciottenni, diritti dei transessuali, depenalizzazione delle droghe: il movimento radicale e referendario dei diritti civili ottiene importanti conquiste sociali già dalla fine degli anni ’60. E potrebbe dilagare. Eutanasia, abolizione del Concordato, abolizione dei manicomi, diritti delle persone omosessuali: le “riforme tabù” di oggi erano già mature 30 anni fa.

7.1 Il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e l’abolizione dei Tribunali militari

Il riconoscimento legislativo dell’obiezione di coscienza viene introdotto in Italia dopo che per vent’anni gli obiettori, con i radicali in prima linea, affrontano detenzioni, processi e condanne per affermare il principio morale civile o politico di non collaborare con gli eserciti. Dall’arresto dei fratelli Strik Lievers nel ’66 alla lunga carcerazione di Roberto Cicciomessere, vice-segretario del Pr, e di molti altri obiettori, è solo grazie a questa lotta che si arriva nel 1972 alla legge sull’obiezione di coscienza (la cosiddetta “Legge Marcora”) che, pur mantenendo alcune discriminazioni superate solo successivamente, permette di optare per il servizio civile sostitutivo obbligatorio. La lotta per l’obiezione di coscienza è anche lotta contro l’incostituzionalità dei tribunali militari. Con la legge 180 del 7 maggio 1981 viene approvata una profonda riforma dell’ordinamento giudiziario militare di pace, che assimila i tribunali militari a quelli ordinari, sottoponendoli sostanzialmente alla stessa disciplina.

Durante il processo a Cicciomessere la difesa eccepisce l’incostituzionalità dei Tribunali militari. L’istituzione giudiziaria militare è infatti espressione di un più generale atteggiamento di resistenza nei confronti della Costituzione. Inoltre il diritto civile all’obiezione di coscienza non è ancora riconosciuto nell’ordinamento giuridico, a differenza di quanto accade negli altri paesi democratici. Questa situazione determina la violazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Il procedimento penale, originato dalla disobbedienza civile di Cicciomessere e degli altri radicali, diviene “processo alla legge”, pubblica denuncia dello “scandalo” di un vulnus al dettato costituzionale.

Le disobbedienze civili di massa condizionano in maniera decisiva l’attività parlamentare. L’azione radicale si pone sempre come “urgenza” e “necessità” rispetto all’immobilismo del legislatore. Avendo come riferimento la scala dei valori e degli interessi tutelati e riconosciuti dal nostro ordinamento, essa esprime la necessità di assicurare i valori fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. In questo senso, La disobbedienza civile cessa di essere resistenza al potere, per divenire iniziativa politica democratica.

In seguito, altri due segretari radicali Jean Fabre e Olivier Dupuis – entrambi belgi – saranno processati e condannati nel loro paese, fino all’estensione completa del diritto all’obiezione nell’ambito europeo.

7.2 Aborto, da reato di massa a legge dello Stato. Come evitare i referendum

Fino al 1978, in Italia l’aborto è considerato un reato, punito dal codice penale fra i “Delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”. All’inizio degli anni ’70, gli aborti clandestini sono un fenomeno assai diffuso (alcune stime registrano da uno a due milioni di casi all’anno) e la questione si pone ormai come un problema sociale e di massa. Già dal 1973 l’aborto diventa un tema centrale nell’azione politica dei Radicali, che insieme al Movimento per liberazione della donna (Mld) promuovono azioni di disobbedienza civile.

Nell’autunno del ’74 Adele Faccio annuncia la costituzione del “Centro informazione sterilizzazione e aborto” (Cisa) con sede a Milano e consultori in tutta Italia, dove si pratica l’aborto a titolo praticamente gratuito. Questa disobbedienza civile prosegue per circa un anno, fino al 9 gennaio 1975, quando i carabinieri fanno irruzione in una clinica di Firenze, arrestando il ginecologo Giorgio Conciani e i suoi assistenti e denunciando le oltre 40 donne presenti. Il 13 gennaio viene arrestato il segretario del Pr, Gianfranco Spadaccia, successivamente saranno arrestate Adele Faccio ed Emma Bonino.

Il 18 febbraio la Corte costituzionale dichiara parzialmente illegittima la norma penale che punisce il procurato aborto. Il 25 marzo in tutta Italia i Carabinieri interrogano gli autori delle auto-denunce, violando il codice di procedura e il diritto alla difesa. Il 15 aprile parte in tutta Italia la raccolta delle firme. Si riescono a raccogliere per la prima volta le firme necessarie, che alla fine saranno 750.000. In ottobre il Cisa ha sedi sparse in molte città italiane. Loris Fortuna rassegna le dimissioni da deputato, in polemica con il compromesso Dc-Pci sull’aborto. Il 25 febbraio ‘76 Emma Bonino presenta il bilancio di un anno di attività del Cisa: sono stati eseguiti 10.141 interventi. Nei mesi di settembre e ottobre dilaga la campagna di disobbedienza civile in tutta Italia, con interventi pubblici di aborto.

Con le elezioni anticipate nel ’76, il referendum slitta al ’78, insieme agli altri quattro sopravvissuti – degli 8 presentati – al giudizio della Corte costituzionale: Commissione inquirente, legge manicomiale, finanziamento dei partiti e legge Reale (ordine pubblico). Per evitare a tutti i costi lo scontro sull’aborto, viene varata a maggio la legge 194, frutto di un compromesso fra Dc e Pci. Questo partito è il vero “padrino” della legge, che contiene alcune pesanti limitazioni. In cambio di queste restrizioni, alcuni parlamentari Dc si assentano al momento del voto, per garantire l’approvazione. I deputati radicali votano contro, reclamando una legge più liberale, fondata sul principio di autodeterminazione della donna, che ispirerà il referendum abrogativo parziale del 1981.

I Radicali votano contro anche la nuova legge 180 sui trattamenti psichiatrici, concepita assai più nella fretta di evitare il referendum che per un autentico impegno riformatore. Nel motivare la sua opposizione, Pannella prevede facilmente che i malati si ritroveranno abbandonati a se stessi e alle famiglie. La Commissione inquirente, grande insabbiatrice di scandali per lunghi decenni, è fatta oggetto di una pseudo-riforma puramente nominale, che ne lascia sostanzialmente intatto l’impianto. Per approvare tutte queste leggi in così poco tempo, le Commissioni parlamentari si riuniscono in sede legislativa contemporaneamente all’Aula, rendendo fisicamente impossibile la presenza dei soli quattro deputati radicali.

7.3 Le riforme di liberazione sessuale “GLBT”

All’inizio degli anni ’70, alle persone omosessuali è negata la dignità, la piena cittadinanza, spesso la stessa possibilità di vita, se non a costo di auto-censura, negazione e inganno. La questione omosessuale assume una dimensione pienamente politica durante il congresso radicale di Milano del novembre ‘74, quando il Fuori! (il primo movimento organizzato degli omosessuali) e il Pr sottoscrivono un patto federativo. Con questa decisione, milioni di italiani senza volto possono riconquistare la propria identità in tutte le sedi del Partito radicale, che diventano le sedi anche del movimento.

Inizia così una storia tanto ricca di iniziative quanto misconosciuta o dimenticata, volta al riconoscimento di fondamentali diritti civili e sociali. La presentazione nel 1976 - per la prima volta al mondo in elezioni politiche nazionali - di candidati esplicitamente omosessuali, e la loro elezione. La manifestazione a difesa degli omosessuali nei paesi in cui l’omosessualità è punita con il carcere o con la morte: Pezzana a Mosca nel ‘77, Francone a Teheran nel ‘79 e di nuovo a Mosca nell’80. Le numerose iniziative in sede Onu e Ue che vedono i Radicali impegnati a garantire l’accesso alle istituzioni dei rappresentanti delle organizzazioni GLBT. Infine, la prima legge italiana di riconoscimento delle persone transessuali (164/1982).

7.4 La depenalizzazione del consumo personale di droghe

Fin dalla metà degli anni ‘60 i Radicali si occupano del problema della diffusione delle droghe illegali, proponendo di governare e di regolamentare il fenomeno. Dalle “contro-inaugurazioni” dell’anno giudiziario del ’65, in cui denunciano in tutte le procure della Repubblica il fallimento del proibizionismo, al convegno su “Libertà e droga” del ‘72, alla lettera di Marco Pannella al Messaggero dopo l’arresto di 17 giovani romani accusati di aver fumato hashish, tutta la politica radicale – comprese le disobbedienze civili che ne contrassegnano la storia fino ai nostri giorni – è finalizzata alla richiesta di un grande dibattito pubblico per favorire decisioni democratiche e consapevoli intorno alle leggi in vigore.Di fronte all’immobilismo delle forze politiche e ai veti incrociati che ne impediscono l’azione parlamentare, mentre migliaia di giovani finiscono in galera per aver consumato sostanze stupefacenti, il 2 luglio 1975 Marco Pannella annuncia, con un telegramma alle forze ordine, che di lì a poche ore fumerà pubblicamente uno “spinello” e che denuncerà per omissione d’atti d’ufficio poliziotti e magistrati che non intervengano. Pannella finisce in carcere per due settimane, dichiarando che non firmerà per la libertà provvisoria fino a che il Parlamento non avrà calendarizzato la discussione delle diverse proposte di legge da tempo depositate. I presidenti delle Camere acconsentono all’apertura del dibattito sul tema e, nel giro di pochi mesi, nel dicembre del ‘75, è approvata una legge che distingue lo spacciatore dal consumatore, depenalizzando l’uso di alcune sostanze.