Conferenza sulla Siria Ritirato l’invito all’Iran dopo le proteste Usa

Dalla Rassegna stampa

Pasticcio diplomatico. E a firmarlo, a sorpresa, è l’Onu. Il suo segretario generale Ban Ki-moon ha invitato last minute alla cosiddetta Ginevra 2, la Conferenza di Pace sulla Siria che dovrebbe aprirsi domani nella città svizzera, anche l’Iran. Spiegando che anche loro concordano con «lo scopo di instaurare un governo di transizione». La mossa fa infuriare gli Stati Uniti ma anche l’opposizione siriana. Mentre la Russia gongola. L’Iran a sua volta fa sapere che intende partecipare ma senza «accettare condizioni». A sera il segretario Onu si dice «deluso» e «costernato». E ritira l’invito a Teheran. I giocatori non si sono ancora seduti al tavolo. Non sono state ancora distribuite le carte. E l’Iran è già andato a punti. Ginevra 2, la conferenza di pace sulla Siria che si dovrebbe aprire domani al Petit Palace di Montreux, è una partita dove si bluffa perfino sul numero dei partecipanti. E dove può spuntarla chiunque, soprattutto chi non c’è.

«Sarà un processo a scossoni - prevede la nostra ministra Emma Bonino - avremo un incidente al giorno». Mancano poche ore e fino all’ultimo non si è saputo se e come cominciare: gli svizzeri hanno già chiuso lo spazio aereo sul lago, le quaranta delegazioni invitate sono in arrivo, ma il pasticcio strano del segretario dell’Onu, che ieri mattina ha invitato last minute anche gli iraniani finora esclusi, per poi rimangiarsi tutto su pressione degli americani, ha rischiato di far saltare il banco. Le parole che avevano fatto temere il fallimento: «Ho chiesto a Teheran di partecipare - aveva annunciato a sorpresa Ban Ki-moon anche loro concordano sul fatto che lo scopo del negoziato è d’instaurare a Damasco un governo di transizione» (laddove, bisogna spiegare, un governo di transizione è proprio una delle precondizioni poste dai negoziati di giugno, Ginevra 1, che il presidente Rouhani non ha mai accettato). La risposta iraniana è stata velocissima, spiazzante, un po’ diversa da quanto Ban Ki-moon s’aspettava: «Sulla base dell’invito ufficiale delle Nazioni Unite, parteciperemo, ma senza precondizioni». In coda, una ruota di veti e controveti. Con l’opposizione siriana a minacciare ultimatum (poi ritirato) fino a sera: «Se si presentano gl’iraniani, e si presentano senza accettare le precondizioni, non ci presentiamo noi». Con americani, francesi, sauditi, inglesi furibondi, a esigere spiegazioni da Ban Ki-moon. Coi russi a gongolare: «Se s’invitano a Ginevra perfino l’Australia o il Messico, la Corea e l’Indonesia, lasciare a casa l’Iran sembra una profanazione».

Con la Cina a sostenere l’Iran e l’Ue a premere per una dichiarazione distensiva di Teheran (che non arriva). Col medesimo segretario dell’Onu, a fine giornata, ancora a mediare per salvare il supersummit. «Costernato», per il caos scatenato. «Deluso», per l’astuto dietrofront degli ayatollah. Infine, il comunicato: niente invito, si torna alla squadra di partenza. Fallisca o no la conferenza, per gli iraniani resta il successo dell’imbarazzo provocato. Che arriva nel giorno in cui s’ufficializza anche il «rispetto degli impegni» sul programma nucleare: lo stop all’arricchimento dell’uranio al 20%, deciso in novembre con Obama, e insieme l’alleggerimento delle sanzioni internazionali. Rallentano i reattori di Natanz, Fordo e Arak, l’Agenzia atomica certifica una certa buona volontà di Teheran, in cambio ecco i primi frutti della politica del sorriso di Rouhani: si riapre il commercio del greggio con Cina, India, Giappone e Turchia, alcune aziende europee possono tornare ad acquistare e le banche a negoziare, l’oro, le auto e i ricambi per gli aerei sono di nuovo trattabili…

L’uno-due peserà sulla vigilia di Ginevra 2 e sulle scarse attese che comunque circondano la più grande iniziativa diplomatica presa in tre anni di guerra: visto che il fronte jihadista non poteva essere invitato, il paradosso sarebbe stato un Assad affiancato dal suo alleato iraniano con la totale esclusione di chi s’oppone al regime. Lui, il presidente, ripete che a Ginevra «si decide il futuro di tutto il Medio Oriente» e promette di candidarsi al voto 2014, in giugno, se ci sarà. Loro, i jihadisti, guadagnano terreno: a Raqqa, nel nord siriano, sono arrivati a imporre la sharia, niente musica e vietato pure fumare. «Questo è il momento di cercare la pace e non di porre altre condizioni», è l’appello dello stremato Ban Kimoon. Ci sono 130 mila morti, sulle rive del lago di Ginevra, ad aspettare che quelle acque non portino altri cadaveri

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