Per i virtuosi c'è il rischio del «legal cliff»

«Perché è inceppato il rapporto tra imprese virtuose e magistratura, procure in testa?». «Come è possibile migliorare e rendere efficace tale rapporto?». Gli interrogativi sollevati la scorsa settimana sollecitano risposte urgenti e condivise, perché per il "nostro" fronte - quello delle imprese che cercano la sinergia con lo Stato - il legal cliff (parafrasando altri baratri) è a un passo.
Risposte urgenti, perché lo Stato sembra ignorare che il mercato non dà tregua e impone ogni momento scelte, progetti su cui rischiare risorse, programmazioni che coinvolgono soggetti plurimi, tutti passi che l'imprenditore deve compiere per conseguire i suoi obiettivi. Un percorso già impervio, ma impercorribile senza regole chiare, trasparenti, stabili. E risposte condivise, perché - oltre un certo limite - il volontarismo diventa masochismo, mentre perdono senso prospettico i tentativi virtuosi di cui si caricano settori ancora minoritari, ma sempre più ampi del mondo economico. Risposte urgenti e condivise, che scaccino una brutta sensazione, drammaticamente erosiva per il "nostro" fronte: che le scelte di legalità penalizzino, anziché premiare, le imprese che le adottano. Come? Non mettendole al riparo da incursioni giudiziarie e mediatiche che le omologano a imprese mafiose, né dalla slealtà di quanti evitano certificazioni, rating o white list: proprio questi concorrenti, infatti, attraggono i fornitori e i clienti in fuga da qualificazioni severe e standard più moderni (e costosi).
Le risposte arriveranno, di questo siamo certi, perché una riflessione seria è avviata da tempo, anche se ogni giorno che passa rallenta l'espansione del "nostro" fronte.
Tra quanti riflettono assiduamente su questi temi, Mario Centorrino, ordinario di Politica economica all'Università di Messina e studioso del rapporto mafia-economia, sottolinea il caso delle «aziende legali e virtuose, che in determinate occasioni o per specifici problemi violano la legge. Il loro timore nasce dal fatto che l'intervento (giusto) di una procura su un comportamento occasionale e magari limitato nel tempo, annulli un'immagine faticosamente costruita per l'inevitabile generalizzazione degli effetti dall'azione penale». Se a ciò sommiamo «la tentazione di alcuni pm, quando si tratta di imprese, di trasformare le pagliuzze in travi con la speranza che qualche Report di turno se ne accorga», abbiamo già due ingredienti di un mix ad alto potenziale distruttivo.
E Stefano Musolino, pm antimafia a Reggio Calabria che indaga i legami cosche-imprese, ritiene che il rischio legal cliff «non sia completamente eliminabile ma, se le parti si confrontano, sia seriamente contenibile, come ogni evento avverso non prevedibile». Certamente esiste un problema di regole, perché «se il cittadino sapesse prima quanto il Fisco si aspetta che paghi, farebbe le sue dichiarazioni tenendo conto di quel dato e il contenzioso si ridurrebbe. Così, se l'azienda (al di là delle imposizioni di legge) sapesse quali sono le regole di trasparenza richieste dall'apparato di prevenzione-repressione, potrebbe orientarsi in funzione di quelle esigenze, contenendo il rischio che comportamenti e scelte lecite possano essere equivocati dagli inquirenti».
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