La vera rivoluzione civile

Dalla Rassegna stampa

La settimana scorsa si è inaugurato l'anno giudiziario e, oltre a fotografare lo sfascio della lentissima macchina della giustizia - col suo enorme carico di milioni processi pendenti, le centinaia di giorni di calvario per giungere a una sentenza, i costi economici di questo pantano cronico - da nord a sud, dalla Suprema di Corte di Cassazione passando per le varie Corti d'Appello, gli ermellini hanno lanciato un grido (quasi) unanime di allarme sulla situazione delle carceri italiane. Troppi i detenuti rispetto ai posti letto, com'è ormai noto all'uomo della strada. Degradanti le , condizioni di vita all'interno degli istituti, come denuncia la Corte europea dei diritti umani. Tanti i suicidi dietro le sbarre «sintomo estremo di un'inaccettabile sofferenza esistenziale», come ha ricordato anche quest'anno nella sua relazione il Primo Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo. Troppe le fattispecie di reato (35 mila secondo il Consiglio d'Europa). Pochi i permessi premio (poco più di 25 mila nell'anno appena trascorso, fa sapere il presidente Lupo), eccessivo l'impiego della carcerazione per arrestati e indagati (24 mila sono coloro attualmente detenuti in custodia cautelare secondo il ministro della Giustizia) e scarso invece il ricorso alle misure alternative. Il tutto in nome di una concezione «carcerocentrica» della pena, come l'ha definita il Procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani. Un diagnosi perfetta dei mali che affliggono la nostra giustizia e che tuttavia richiederebbero una terapia ben più incisiva rispetto agli appelli e alle generiche intenzioni che serpeggiano tra gli addetti ai lavori. E se va bene dare atto al governo dei tecnici di aver quanto meno provato ad arginare il problema del sovraffollamento, continuare a lagnarsi per l'approvazione sfumata del disegno di legge sulla messa alla prova è invece un insulto alla sofferenza delle migliaia di persone che nelle nostre galere vivono come bestie. Visto che, come da più parti osservato, quel provvedimento avrebbe interessato un numero assai ridotto di detenuti. Così, di fronte all'irresponsabilità di una classe dirigente che ha perfino paura a pronunciare la parola amnistia e nell'attesa che le urne decretino a chi debba passare la patata bollente, organizzazioni e associazioni, tra cui Antigone, A Buon Diritto, Forum per il diritto alla salute in carcere, Unione delle Camere Penali, Vie, hanno confezionato e depositato tre proposte di legge di iniziativa popolare: "Tre leggi per la giustizia e diritti" che costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario. La prima proposta mira a sopperire la grave lacuna normativa che vede il reato di tortura ancora assente dall'ordinamento italiano nonostante gli obblighi internazionali. Con la seconda si intende rafforzare il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, ma anche garantire i diritti dei detenuti e ridurre l'affollamento attraverso misure come l'abrogazione del reato di clandestinità, la modifica della legge Cirielli sulla recidiva e l'introduzione di una sorta di "numero chiuso", affinché nessuno entri in carcere se non c'è posto. Infine la terza proposta vuole modificare la legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese e a superare quindi il paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi. Proposte di buon senso per realizzare dal basso una vera rivoluzione civile, la più urgente tra quelle di cui il Paese ha bisogno.

 

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