Unioni civili, la via maestra non passa dai municipi

Il rilievo mediatico non poteva essere diverso, anche perché il monito della curia milanese contro l'istituzione del registro comunale delle coppie di fatto interrompe le buone relazioni finora intrattenute tra il Cardinal Scola e il Sindaco Pisapia. Bruno Tabacci, centrista di rito ambrosiano, ha replicato alle obiezioni dei giuristi cattolici - la poligamia ha tenuto banco - con puntiglio e forse pure con esibita disinvoltura. Adesso, per evidenti ragioni, la Giunta di «sinistra-centro» del capoluogo lombardo si propone come modello del «municipalismo dei diritti civili». In ogni caso la polemica è destinata ad avere ulteriori ridondanze su scala nazionale, visto che analoghe soluzioni sono allo studio nelle altre grandi città. A Roma, ad esempio, anche i Giovani democratici hanno aderito alla raccolta di firme che radicali, Idv, socialisti e varie sigle dell'arcipelago gay hanno collegato a una proposta di delibera di iniziativa popolare per «il riconoscimento delle unioni civili e il sostegno alle nuove forme familiari». Tutti, anche i Giovani democratici, dovrebbero ponderare i limiti di questa iniziativa. Senza scomodare i principi della morale cattolica, occorre esaminare con scrupolo il criterio che sostiene e orienta la delibera d'iniziativa popolare. Essa rivela molti punti deboli, tanto sotto il profilo politico quanto sotto l'aspetto tecnico. In realtà, dietro la facciata apparentemente levigata si nasconde una pretesa spigolosa: anticipare in sede amministrativa la tendenziale legittimazione di una forma di famiglia - dunque di matrimonio - tra persone appartenenti allo stesso sesso. Ecco l'errore politico, se solo si considera che a riguardo il Partito democratico nella recente Assemblea nazionale si è espresso in termini sostanzialmente diversi, escludendo in generale la commistione tra unioni civili e matrimonio. Allora, a che serve alimentare equivoci? Il rischio è che la pubblica opinione avverta con fastidio l'ambivalenza di linea dell'area riformista. Per altro, sul piano squisitamente tecnico la proposta di delibera non regge o meglio regge unicamente laddove si limita a reiterare regole e condizioni già esistenti. Quando va oltre, scade fatalmente nella confusione. Infatti, puntando ad omologare famiglia anagrafica e famiglia nucleare introduce, attraverso un uso improprio delle procedure delegate dallo Stato in materia di anagrafe e stato civile, una palese e inaccettabile violazione della Carta costituzionale. Certo, la categoria di famiglia anagrafica di per sé non interferisce con la nozione di nucleo familiare, l'una e l'altro esprimendo concetti assai diversi; va da sé, però, che una volta unificato il messaggio - famiglie al posto di famiglia - la voragine interpretativa non sarebbe più colmabile se non mediante un equivoco strutturale. Tant'è che il Comune di Roma, alla fine, dovrebbe rilasciare o riconoscere secondo lo schema di Regolamento allegato alla delibera un certificato attestante l'unione che si forma in base «a vincoli affettivi» (art. 4 del dpr 30 maggio 1989 n. 223): esattamente ciò che la legge non permette e ciò che il Comune è tenuto ad escludere dal suo orizzonte regolamentare (sentenza 27 agosto 2007, n. 2786 del Tar del Veneto). Questo è il quadro di riferimento. Dunque, alla fragilità d'impianto giuridico fa seguito un esercizio di trasfigurazione ideologica di quell'istituto elementare e fondamentale che nel lessico ordinario inerisce alla famiglia. Di questo esercizio si potrebbe o piuttosto si dovrebbe fare a meno. Infatti ai cittadini, credenti o non credenti, bisogna rivolgersi con linguaggio chiaro e proposte razionali. Un ingannevole approccio comunicativo lede il comune sentire democratico. Se si vogliono i matrimoni gay, non bisogna scegliere la formula intrigante e tuttavia inappropriata della pseudo-certificazione anagrafica. Ci vuole più franchezza nell'approccio. Ben sapendo, in proposito, che il consenso attorno a questa soluzione si riduce a frange radicali e intraprendenti, ma pur sempre minoritarie. Resta semmai da individuare quelle «speciali garanzie» in ordine alle cosiddette unioni civili, anche composte da coppie omosessuali, su cui fa leva appunto il documento del Partito democratico. A questo fine la via maestra, da intraprendere con rispetto ed equilibrio onde sia fecondo il dialogo tra diversi convincimenti ideali, è solo quella di una oculata innovazione di tipo legislativo. Diversamente, nella illusione di aggirare i problemi, la costruzione di una finta regolamentazione municipale produce all'atto pratico un effetto di dilatazione delle diffidenze, dei contrasti e infine degli inevitabili contrattempi.
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