Un nuovo modello per aziende globali

Dalla Rassegna stampa

Stiamo raggiungendo lo Zenit della tassazione sulle imprese. È il prodotto di una deriva che ha sommato senza mai davvero sostituirli diversi modelli di imposizione. Col modello "tradizionale" si è progressivamente inasprita la pressione sui redditi d'impresa: dopo una breve pausa nel 2010, la pressione fiscale ha ripreso la sua corsa già nel 2011, come mostrano i dati Infocamere sul tax rate medio nazionale elaborati dal Sole 24 Ore.

Con un secondo "modello", anche per tentare di contrastare l'evasione si sono tassati i fattori della produzione (Irap, Imu sui fabbricati d'impresa), con aliquote sempre crescenti e spacciando per tassazione "di rendite" anche quello che costituisce capitale produttivo.
Sul piano territoriale, colpisce l'escalation del tax rate nel Mezzogiorno, con un aumento medio di due punti e mezzo in un anno. Nel Centro-sud, le imprese che pagano le tasse sopportano una pressione del 4% superiore rispetto al Nord, dove è concentrata la base produttiva del Paese. Questo dato dovrebbe far riflettere: vero che l'evasione è maggiore nel Mezzogiorno, ma il fatto che le attività produttive siano più rarefatte dove le tasse sono più alte potrebbe preconizzare il destino industriale italiano.

Per il futuro, constateremo un ulteriore aumento della fiscalità complessiva sulle imprese, frutto amaro delle misure di stabilizzazione dei conti pubblici del governo Monti.
I mercati finanziari hanno apparentemente apprezzato questa dimostrazione di consolidamento, e dovrebbero aver valutato positivamente anche il riequilibrio dei conti con l'estero, con un aggiustamento di circa 3 punti percentuali della bilancia corrente in un anno. Ma le stime più accreditate della crescita potenziale italiana restano pericolosamente vicine allo 0,5% nel medio termine, lo stesso valore che ha avuto nell'ultimo quindicennio il tasso medio di variazione del reddito pro-capite. Difficile immaginare che gli analisti finanziari possano restare rassicurati a lungo se la produzione industriale non recupera (siamo ancora oltre il 20% sotto i numeri del 2008) e se non vi sono segnali chiari di una strategia per invertire la rotta fiscale.

La competizione globale tra le imprese per vendere, e tra i territori per attirare e mantenere insediamenti produttivi, si sviluppa su molti terreni ma è difficile pensare che la fiscalità non sia uno di quelli decisivi. Come già mostrava il Sole 24 Ore del 25 novembre scorso, la concorrenza tra governi in Europa per attirare aziende dall'estero è più viva che mai: Gran Bretagna e Spagna, a esempio, si impegnano a mantenere una pressione fiscale sul reddito di impresa attorno al 23-24%, oltre dieci punti in meno che da noi. Spostare la sede dell'impresa all'estero non è semplice, ma questo non può rassicurare: se non ci si sposta l'alternativa può essere di chiudere i battenti quando il fisco diventa troppo vorace.
Di fronte all'ipertensione fiscale, i farmaci omeopatici o le terapie shock non servono. Da più parti si invoca una tassazione patrimoniale "speciale" che abbatterebbe il debito pubblico e i suoi oneri, e per quella via consentirebbe di ridurre la fiscalità ordinaria. Si dimentica anzitutto che i patrimoni degli imprenditori italiani, ancora cospicui, hanno costituito un argine alle crisi aziendali in questi anni caratterizzati da condizioni di domanda e liquidità carenti (acuita quest'ultima anche dai ritardi di pagamento della Pa). Si dimentica poi che una sorta di "patrimoniale" si ebbe al tempo della nascita dell'euro, con un risparmio per l'Erario di alcune decine di miliardi all'anno per gli interessi passivi, risparmio finito nel calderone di una spesa pubblica primaria in ascesa insostenibile.

È tempo di scrivere un nuovo "modello" di fiscalità per le imprese, specie quelle industriali per le quali i dati Infocamere mostrano aumenti del tax rate attorno al punto percentuale in media sia nel 2010 sia nel 2011. Si tratta di aziende che non solo esportano e consentono di dare impulso al resto dell'economia privata e pubblica, ma che si vanno sempre più internazionalizzando anche per la produzione e la distribuzione. Sono infatti sempre più frequenti i casi di imprese manifatturiere di tutti i comparti che, con 100 addetti e 30 milioni di fatturato circa (in media con la survey compiuta da Infocamere), acquisiscono o stabiliscono affiliate all'estero. Per queste imprese l'"effetto dimostrazione" di sperimentare modelli fiscali differenti potrebbe risultare forte. A esempio, in contesti dove le performance pro-impresa delle Pa centrali o locali non sono sganciate dalle remunerazioni dei loro dirigenti e funzionari, o dove le addizionali delle imposte locali vengono parametrate non solo all'esigenza di finanziare servizi (o sprechi) ma anche all'obiettivo di consolidare e allargare la base produttiva.

 

© 2012 Il Sole 24 Ore. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK

Ti potrebbe interessare anche:

 Dichiarazione di Riccardo Magi, segretario di Radicali Italiani   Che il libero mercato in Italia sia un miraggio è cosa risaputa, e ne è la conferma questa ennesima manifestazione contro la direttiva Bolkestein. Una protesta appoggiata dal partito unico dell’...
Si è conclusa un'ulteriore fase nel tentativo di salvare MPS dalle conseguenze di condotte gravissime poste in essere nell’arco di decenni da settori politici locali e nazionali prevalentemente di sinistra, ma non solo. L’operazione sarà resa possibile anche dall’intervento del fondo Atlante con la...
Dichiarazione di Valerio Federico e Alessandro Massari, tesoriere e membro di direzione di Radicali Italiani:   La  Commissione europea ha pubblicato il  rapporto sulle previsioni economiche dopo il referendum britannico. Si legge che "Il settore bancario, in...