Tutti i nodi difficili da sciogliere

Sarà molto interessante esaminare le decisioni dell’odierno Consiglio dei Ministri in tema di disegno di legge di riforma della Costituzione: ciò non solo per l’oggettiva importanza dei due grandi temi che dovrebbero essere .affrontati (modificazione del bicameralismo e nuova riforma del rapporto fra Stato e Regioni), ma anche per verificare l’effettiva esistenza di una volontà del Governo sui modi concreti con cui affrontare questi temi impegnativi e complessi. Mentre, infatti, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha drasticamente confermato la volontà di andare avanti su alcune linee da lui solo molto sommariamente accennate, si moltiplicano suggerimenti di autorevoli esponenti istituzionali, dal Presidente del Senato Grasso al senatore a vita Monti, di apportare non secondarie modificazioni alla progettazione, mentre altrettanto sembrano pure proporre vari partiti interni ed esterni alla coalizione di Governo. Sarà quindi interessante verificare quanto tutto ciò peserà sulle deliberazioni collegiali del Consiglio dei Ministri, che dovrebbe varare l’impegnativo disegno di legge costituzionale. E ciò senza considerare lo spropositato allarmismo diffuso da una inopportuna dichiarazione di alcuni intellettuali (fra cui purtroppo anche qualche autorevole giurista), che vede addirittura nella appena accennata progettazione lo stravolgimento della nostra Costituzione, se non addirittura una «svolta autoritaria».
E naturalmente questo abuso concettuale e linguistico viene utilizzato nel modo più demagogico da un movimento come Cinque stelle, che pur certo non appare sempre coerente nelle battaglie liberal-democratiche (si pensi, solo per fare un esempio, ai reiterati tentativi di escludere la libertà del mandato elettorale). Ma le scelte del Consiglio dei Ministri saranno interessanti anche in riferimento alla sostanza delle proposte che potrebbero essere avanzate, perché si potrà infine prender atto se ci si trova dinanzi a credibili progettazioni costituzionali o solo a sommarie e scoordinate ipotesi di mutamento, che rispondono al tentativo di cavalcare in superficie alcuni diffusi umori anti parlamentari o anti autonomistici. Dico questo perché purtroppo le proposte finora emerse sono davvero troppo opinabili: se sembra abbandonata l’originaria incredibile proposta di fare del Senato una sorta di assemblea dei Sindaci (108 su 150), la stessa bozza di disegno di legge di revisione costituzionale che è stata pubblicata alcuni giorni fa sul sito del Governo, appare molto discutibile in alcuni snodi fondamentali, quasi che non esistano più uffici legislativi degni di questo nome e si sia largamente dimenticata la lunga esperienza fatta nel tentativo di far-funzionare il nostro regionalismo.
Facciamo solo quattro esempi fra i tanti possibili: nel Senato ipotizzato, ogni Regione avrebbe l’identico peso, a prescindere dalla sua popolazione e dagli interessi rappresentati; tutto ciò in un Paese con venti Regioni molto diverse tra loro, produrrebbe conseguenze paradossali (si tenga anche presente che il Senato voterebbe le leggi di revisione costituzionale e contribuirebbe ad eleggere il Presidente della Repubblica). In secondo luogo, sul piano della legislazione, il Senato non farebbe altro che esprimere meri pareri, superabili da difforme volontà della Camera dei deputati anche quando riguardano i più incisivi limiti all’autonomia delle Regioni e pure se i pareri fossero approvati a larghissima maggioranza. In terzo luogo, nella decisiva nuova descrizione dei criteri di divisione degli spazi legislativi fra Stato e Regioni, tutto sembra ridursi ad un’ulteriore amplissima estensione dei poteri statali, mentre l’autonomia delle Regioni sembra ridotta al lumicino, quasi che ci si sia dimenticati di quanto le Regioni fanno ormai da decenni. Infine, sembra che ci si sia dimenticati del tutto che cinque delle venti Regioni esistenti hanno una disciplina profondamente diversa e che quindi una modifica del nostro regionalismo deve, almeno in parte, necessariamente riguardarle; altrimenti il rischio di incomprensioni e conflitti si moltiplicherebbe a dismisura. Ecco che allora le scelte del Consiglio dei Ministri dovranno essere esaminate con grande attenzione.
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