Tutte le cimici della Regione degli scandali

Dalla Rassegna stampa

Anche i tre presidenti che hanno preceduto Nicola Zingaretti alla guida della Regione Lazio hanno avuto una loro spy-story. Il primo caso è quello che travolge Francesco Storace nel 2005. Durante la campagna elettorale l’ex colonnello di Alleanza Nazionale avrebbe organizzato l’intrusione informatica di alcuni tecnici nella banca dati dell’anagrafe per fare saltare la candidatura di Alessandra Mussolini e della sua lista Alternativa sociale. Due degli imputati patteggiano, mentre Storace perde le elezioni e si trasferisce al ministero della Sanità. Nel 2010, viene condannato a un anno e sei mesi di reclusione. Due anni dopo la corte di Appello ribalta il verdetto di primo grado e lo assolve. Quella vicenda però lascia in eredità una parola che ritornerà anche per altri casi: Laziogate.

A guidare la Regione dopo Storace è Piero Marrazzo. Nel 2009 quattro carabinieri vengono arrestati: avrebbero ripreso gli incontri del neo governatore con una transessuale e usato il video per ricattarlo. Marrazzo è vittima, non artefice, del raggiro, ma è comunque costretto alle dimissioni. Lascia la Pisana e si ritira a meditare nel convento di Montecassino. Nel frattempo Brenda, un’altra transessuale coinvolta nella vicenda, muore dopo che il suo appartamento prende fuoco in circostanze misteriose. Anche uno spacciatore legato al caso Marrazzo muore di overdose per avere assunto eroina mascherata da cocaina. Nel 2012 i quattro carabinieri e un transessuale vengono rinviati a giudizio per tentata estorsione, ricettazione e spaccio.

Si torna a votare nel 2010, quando Renata Polverini vince le elezioni battendo al ballottaggio la candidata del centrosinistra Emma Bonino. Nel 2011 la governatrice ordina una bonifica del suo ufficio. Vengono ritrovate tre microspie e una microcamera: la Polverini convoca una conferenza stampa e denuncia il tentativo di bloccare il nuovo corso della Regione, mentre la Procura apre un fascicolo. Il mistero viene parzialmente risolto quando il procuratore capo di Velletri spiga che due delle tre cimici erano state installate dalla polizia giudiziaria nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione illecita del traffico di rifiuti solidi urbani.

 

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