Il tifo dei fedeli in piazza: "Vogliamo Francesco I"

Dalla Rassegna stampa

«Immaginati, che bello. Esce il protodiacono dalla loggia centrale e dice “Habemus Papam... Qui sibi nomen...: Francescus Primus”». Saverio sforza le meningi per ricordarsi la formula esatta dell’annuncio. Sopra di sé tiene uno striscione, ed è il solo in tutta piazza San Pietro: “Francesco I papa” ha scritto con un pennarello nero. C’è il sogno, il desiderio e la speranza di molti, racchiusi in quel nome. Il poverello d’Assisi santificato non ha mai avuto l’onore del nome pontificale. Snobbato da secoli e secoli di potere temporale concentrato sotto questa cupola che si mostra sempre d’acciaio eppure non è mai sembrata così fragile. Frate vento soffia forte oggi, in un’aria umida e uggiosa. Saverio non veste il saio di lana grossa e grezza, ma un giaccone colorato. È architetto, «francescano nell’animo». Da Pesaro è venuto fin qui a chiedere un nome e un nuovo inizio. «Chi sceglie di chiamarsi Pio, afferma di ispirarsi al papa Pio precedente. E così Leone, Giovanni, Benedetto. Francesco invece è un nome senza precedenti. Sceglierlo significa ispirarsi direttamente a un Santo».

Un nome, ma non solo. Un gesto di rottura. Simbolico e sostanziale. Un rifiuto di una storia che si è avvitata su se stessa. «Sai che rivoluzione», brillano gli occhi a Saverio. C’è ovunque un’aria di rivoluzione in questa Roma di sedi vacanti che sconfina in Vaticano, o che il Vaticano assorbe. La rivoluzione si esprime come attesa. Punto di non ritorno. E forse non è una caso che Saverio paragoni il possibile cambiamento nella Chiesa, «ora o mai più», all’avanzata dei grillini. Si confondono immagini e categorie, perché c’è anche uno smarrimento collettivo, e i paragoni diventano ardui, trasversali. Come i sostenitori di “Francesco I”: da monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare dell’Aquila, ai radicali anticlericali. Il genovese don Pino Farinella un anno fa in un libro intitolato “Habemus Papam. La leggenda del Papa che abolì il Vaticano” immaginò il papato di Francesco I. Nel discorso Urbi et Orbi, il papa appena eletto si spoglia in mondovisione di tutti i suoi averi e offre il Vaticano ai poveri. Utopia francescana contro la Casta della Curia, l’anti-gerarchia che denuncia lo spreco del potere che ha smarrito l’anima spirituale delle origini.

Saverio attira un gruppo di tre ragazzi. Sono siciliani e della Gioventù Francescana, movimento di cattolici tra 14 e 30 anni, nato all’interno del terzo ordine, quello secolare, dei seguaci del fraticello d’Assisi. Loro lo chiamano Gifra: «La Chiesa ha bisogno di un rinnovamento. E per farlo deve tornare all’umiltà dei mendicanti e all’insegnamento di San Francesco», spiega Bea, Beatrice, gifrina di 21 anni, da Siracusa. Essere francescani, per loro, è semplicemente essere cristiani al quadrato. Ma la Chiesa è anche tifo. Dentro il Conclave ci sono quattro francescani. I tre cardinali che rappresentano i frati minori sono Claudio Hummes, già prefetto della Congregazione per il clero, ritenuto un papabile da compromesso nel 2005 tra Ratzinger e Martini, lo spagnolo Carlos Amigo Vallejo, e il sudafricano Wilfred Fox Napier. Molte più chance di loro per il Soglio di Pietro ha un altro frate, ma cappuccino, l’americano Sean Patrick O’Malley. E l’arcivescovo di Boston che per bonificare la sua diocesi insozzata dalla pedofilia ha venduto molti beni ed è andato a vivere in un appartamento. Né Saverio né i ragazzi fanno uno di questi nomi. Una suggestione e nulla più è il filippino Luis Antonio Tagle, che visita i villaggi poveri d’Asia, mangia con loro, e porta il Vangelo in quel pezzo di mondo che ha fame, anche di fede: «Francesco I verrà prima o poi - sorride Saverio - E nel destino del Santo. Dopotutto suo padre si chiamava Pietro».

 

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