Strumenti più efficaci ma serve una strategia

Tra pochi giorni si chiuderà un anno durante il quale - insieme a spread, rating, crisi del debito e recessione - anche il tema della lotta all'evasione fiscale è via via diventato un costante refrain. Era metà agosto, quando il presidente del Consiglio, in vacanza in Engadina, parlava per la prima volta di «un'Italia in stato di guerra contro chi non paga le tasse».
Un'immagine forte, che Mario Monti ha utilizzato poi in molte altre occasioni (rincarando persino la dose, da ultimo, proprio qualche giorno fa), costruita anche per ribadire e rilanciare l'impegno a contrastare l'illegalità che il Governo aveva preso sin dall'insediamento. Un messaggio, peraltro, reso subito tangibile a tutti con il primo blitz nelle strade dello shopping e della movida - quello di Cortina d'Ampezzo, seguito da numerose operazioni simili in tutta Italia - con i finanzieri e i controllori del fisco che, praticamente in diretta televisiva, spluciavano ricevute e scontrini di negozianti, ristoratori e piccoli artigiani.
Sull'utilità dei blitz e più in generale sulla scelta di mediatizzare la lotta all'evasione (che, non scordiamolo, è una funzione dello Stato, né piú né meno di altre, come l'istruzione o la tutela dell'ordine pubblico) si è detto e scritto molto. Di certo, a questa strategia può essere almeno ricondotto un effetto di tipo psicologico. Non tanto sui potenziali destinatari dei controlli che - si immagina - passato il clamore dei giorni caldi delle verifiche a tappeto, saranno poi tornati alla serena disinvoltura di sempre. Quanto, piuttosto, sulla nuova percezione della gravità del danno che l'evasione fiscale determina alla collettività.
In fondo, il boom di segnalazioni di abusi fiscali ricevute dalla linea telefonica anti-evasori della Guardia di finanza, il 117, è lì a confermare la crescita di questa consapevolezza e la percezione del fatto che un sistema di illegalità tributaria diffusa non sia compatibile con il carico di sacrifici che la crisi sta imponendo a tutti i cittadini. Non si tratta di un risultato di poco conto. Non in un Paese come l'Italia, nel quale - come emerge da numerose ricerche pur non recentissime - l'evasione è stata spesso considerata alla stregua di un peccato veniale, come un comportamento dannoso ma non gravissimo, di fatto non sanzionato neppure "socialmente".
I blitz su scontrini e ricevute, dunque. Ma non solo. Perché - dalla tracciabilità dei pagamenti fino all'annunciata anagrafe dei movimenti bancari, passando per il nuovo redditometro - bisogna riconoscere che gli strumenti forniti in questi mesi dal Governo all'amministrazione finanziaria sembrano essere, almeno potenzialmente, molto più efficaci rispetto al passato.
È giusto dare al Governo il merito di "averci provato" o, se vogliamo, di aver posto le basi per un'azione di contrasto che, come sappiamo, non sarà né semplice né tanto meno breve e che toccherà al nuovo Esecutivo rafforzare e affinare. Sul piano concreto, però, non è facile dire se questa maggiore attenzione al l'emergenza dell'evasione fiscale stia portando o porterà a breve i risultati attesi.
A dirla tutta, il percorso per rendere realmente utilizzabili questi nuovi strumenti appare più complesso del previsto. L'anagrafe dei movimenti bancari, a esempio, è ancora in stand-by (anche se sono stati superati i rilievi del Garante della privacy che l'avevano bloccata). Il nuovo redditometro ha avuto per ora la sola gloria mediatica del redditest, ma la parte di sostanza - cioè il software che sarà utilizzato dall'amministrazione - ancora latita.
Le altre misure arrivate negli ultimi mesi - si pensi alle norme sui beni concessi ai soci, a quelle sulle società in perdita sistematica o ancora a quelle sull'elenco clienti e fornitori - hanno nuovamente trasferito sui contribuenti (anche su quelli onesti) le complicazioni e i costi della burocrazia fiscale. E - a torto o a ragione - hanno contribuito a rilanciare l'immagine di un'amministrazione spesso più attenta alla forma che alla sostanza.
E così, purtroppo, sembra: un'amministrazione ormai attrezzata con sofisticatissimi ed evoluti strumenti informatici di indagine, che dispone praticamente di tutti i dati possibili e immaginabili ma che, alla fine, si accontenta sempre di privilegiare l'antica abitudine della lotta all'evasione fatta sulla base dell'interpretazione delle norme.
Oltre ai blitz, restano solo i cavilli di leggi e circolari, si potrebbe dire. È quello che Raffaello Lupi definisce il «potere della burocrazia fiscale». Non solo si devono compiere adempimenti spesso complessi-inutili-incomprensibili, ma al Fisco basta poco per "trovare l'evasore", visto che nessuno si può salvare dalle sempre più diffuse contestazioni interpretative.
Questa è anche la prova più evidente di quanto sia difficile fare davvero la lotta all'evasione, senza cedimenti ma anche senza prevaricare i contribuenti. Gli strumenti ci sono, ma forse l'amministrazione deve ora saper trovare trovare lo slancio per un vero salto di qualità.
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