Stato e mercato, le ragioni delle imprese

Dalla Rassegna stampa

La separazione della rete Snam dall'Eni è entrata nella fase cruciale, ma a sole due settimane dal decreto che dovrebbe definire le modalità concrete, l'incertezza domina sovrana e si profila il rischio di soluzioni che non sono compatibili con una situazione economica sempre più drammatica e che richiede interventi immediati e straordinari, capaci di utilizzare al meglio ogni goccia delle non molte risorse disponibili.

Solo due cose sono per ora sicure: primo, che la separazione può dare uno stimolo alla concorrenza nel settore dell'energia (e dunque benefici per famiglie e imprese); secondo che bisogna guardarsi dall'affidarsi ciecamente al mercato: un'asta pubblica farebbe solo la gioia di investitori stranieri, magari produttori di gas come i russi, con risultati disastrosi non solo per la concorrenza ma per la politica energetica del Paese. Occorre quindi creare una struttura proprietaria per la nuova rete che concili gli interessi dei consumatori con quelli nazionali. Un bel rompicapo, indubbiamente.

Ormai è chiaro che si fronteggiano due soluzioni: l'acquisto da parte di Terna, cioè del gestore della rete elettrica, oppure l'acquisizione da parte della Cassa depositi e prestiti, che già possiede il 30% dell'Eni, oltre che di Terna. Nel primo caso, avremmo una società, a controllo pubblico destinata a gestire le reti di utilities, secondo modelli già praticati all'estero. Nel secondo, le due società di gestione della rete farebbero capo a una sub-holding della Cdp, una società per azioni a controllo pubblico, detenuta per il 70% dallo Stato e per il 30 dalle fondazioni bancarie. Le due soluzioni non sono affatto equivalenti sul piano industriale, finanziario e politico.

Sul primo fronte, l'esperienza indica che se la gestione di reti può portare a maggior efficienza (quindi a migliori risultati per gli utenti) è bene che la direzione sia unica e affidata ai manager del settore, non demandata a una holding che rischia di far prevalere la logica finanziaria su quella industriale. I risparmi potenziali non sono trascurabili: secondo Centrobanca, almeno 110 milioni all'anno (circa il 4 per cento del profitto lordo – Ebit – delle due società).

Sul piano finanziario, secondo le prime valutazioni l'intervento della Cdp verrebbe realizzato con una complessa operazione rivolta a minimizzare l'esborso di contanti rispetto ai 3,5 miliardi complessivi. Ma comunque non si potrebbe fare a meno di privare Snam di alcuni suoi asset (si parla della rete austriaca) e di dover comunque mettere mano al portafoglio della Cdp. Terna ha aumentato il suo indebitamento negli ultimi anni, ma gode di una buona posizione finanziaria: non ha bisogno di ricorrere al mercato nel medio termine, ha un costo medio di indebitamento del 3,5% (risultato guardato con invidia in via XX Settembre) e gode di una abbondante liquidità, stimata sempre da Centrobanca in 2,5 miliardi. Snam è un boccone grosso, ma apparentemente alla portata di Terna, il cui apprezzamento da parte del mercato è testimoniato dal fatto che è oggi valutata 12,9 volte gli utili 2012, circa il 23 per cento in più della media europea per le utilities.

Ma è sul piano politico che non si dovrebbe esitare a scegliere fra le due soluzioni. Certo, l'intervento della Cdp non può essere considerato una vera ri-nazionalizzazione, per il semplice fatto che l'Eni - et pour cause - non è mai uscita dal controllo pubblico, così come la stessa Terna. Ma non è questo il punto. La Cdp è stata trasformata in entità a cavallo fra pubblico e privato per dare un impulso fondamentale all'economia: dal finanziamento alle piccole e medie imprese al private equity, non certo per vederla divenire una sorta di dea Kalì dalle cento braccia con rapporti di proprietà e cointeressenza con tutto il vecchio settore pubblico italiano: dalle banche (attraverso le fondazioni) alle grandi utilities.

Nel migliore dei casi, c'è il rischio che si trasformi in una grande cassaforte, cruciale per i rapporti di potere, ma dannosa per la crescita industriale. Gli esempi non mancano: dai tempi remoti di Bastogi (che era stata definita la gallina che covava le uova di pietra) alle manifestazioni meno felici del sistema Mediobanca, di cui la vicenda Ligresti è l'ultima in ordine di tempo. Un catalogo sterminato, molto più lungo di quello di Don Giovanni.

Non basta. I piani di cui si parla in questi giorni sembrano seguire una tempistica da scenari normali, mentre la situazione economica sta precipitando di giorno in giorno e la crescita continua ad essere una pura invocazione verbale che non si riesce a tradurre in azioni concrete ed immediate né in Europa né in Italia.

La complessa operazione di ingegneria finanziaria che dovrebbe portare Cdp ad acquisire Snam si concluderebbe nel settembre 2013. Un balletto di scorpori, un minuetto di scambi di pacchetti azionari leggiadramente condotto mentre famiglie e imprese sono letteralmente con l'acqua alla gola e l'economia italiana rischia di essere attratta nuovamente nel gorgo greco insieme alla Spagna. Una situazione in cui ogni goccia delle risorse della Cdp dovrebbe essere destinata a fronteggiare l'emergenza: dallo smobilizzo dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione ai progetti di investimento privati e pubblici più importanti. Non ad acquisire una nuova partecipazione, costruire una nuova sub-holding con le sue cariche e i suoi costi fissi e tanto meno a remunerare le banche d'affari che accorreranno festose all'appuntamento.

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