Spiragli di fiducia: finestre aperte (da non chiudere)

«In fondo al tunnel del 2013 ci sono più luci che ombre»: concludeva così, due lunedì fa, questa colonna. A distanza di due settimane, come è variato il gioco di luci e ombre? Fortunatamente, per il meglio.
In America, quello che due settimane fa era stato descritto come «l'inevitabile accordo sul fiscal cliff» è arrivato ed è stato accolto favorevolmente dai mercati. È vero, questo accordo è stato criticato perché non risolutivo ed è facile criticarlo. Ma ci sono anche aspetti che fanno ben sperare per il futuro.
È importante cominciare dagli Usa, perché senza una ripresa duratura dell'economia americana - pur sempre la prima al mondo e quella che più di ogni altra può irradiare fiducia o sfiducia - il mondo intero non si caverà d'impiccio. L'America ci ha cacciato in questo pasticcio con la finanza impazzita dei subprime che ha scatenato la Grande recessione; e l'America è in prima linea anche nella seconda fase della crisi, quella legata alle conseguenze sui debiti pubblici. Pur se questa seconda fase non ha assunto i toni drammatici che hanno rigato la crisi dei debiti sovrani in Europa, è da sottolineare che la situazione sottostante della finanza pubblica americana è più grave rispetto a quella dell'Eurozona, sia in termini di deficit (dati 2012, fonte Fmi: 8,7% del Pil in Usa, 3,3% nell'Eurozona) che di debito (107,2 contro 93,6%). Malgrado questa "gravezza... ch'uscia di sua vista" gli Usa non hanno sofferto problemi di finanziamento. Il ruolo di Paese-rifugio li ha aiutati, così come una Banca centrale che ha fatto il suo mestiere di prestatore di ultima istanza. L'accordo sul fiscal cliff ha rivelato la debolezza dei repubblicani che hanno dovuto cedere sul fronte fiscale (non bisogna dimenticare che i repubblicani hanno perso la Camera in termini di voto popolare, e hanno mantenuto la maggioranza dei seggi solo grazie al sapiente ritaglio delle circoscrizioni elettorali), ciò che fa pensare che si troverà un accordo anche sulla questione dei tagli.
L'Europa non può fare da locomotiva, ma può almeno non fare da freno, come ha fatto finora. L'alleggerimento delle tensioni sullo spread suggerisce un'economia reale meno sfiduciata e più ricettiva alle spinte interne ed esterne. L'altra metà del mondo - i Paesi emergenti - non smettono di emergere. Qualche mese fa Tom Albanese, il boss della Rio Tinto, una delle più grandi società minerarie del mondo e grande fornitore della Cina, disse di aver avuto assicurazioni dai dirigenti cinesi che la Cina non avrebbe smesso di andare avanti e che l'insediamento della nuova dirigenza avrebbe coinciso con un'accelerazione del passo. Un'assicurazione cui era facile dar credito in un Paese dirigistico e con ampia disponibilità di strumenti monetari e di bilancio per far ripartire l'economia. E questo sta in effetti succedendo.
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