Slancio morale e rilancio economico

La credibilità riconquistata in Europa e nel mondo grazie all'affidabilità di Monti, ora rischia di rimanere fuori dalla porta per il malessere sociale che serpeggia tra le quattro mura domestiche per la grandinata recente di cattive notizie. Mentre la nostra economia è entrata in recessione, lo spread torna ad allarmare e la pressione fiscale ha raggiunto picchi inesplorati, Bankitalia ci ricorda che la ricchezza delle famiglie italiane è in diminuzione in questi anni di crisi (-5%), l'Istat che l'inflazione inghiotte i modesti aumenti dei salari nominali e la disoccupazione è sopra al 9%, l'Ocse che i nostri stipendi medi sono la metà di quelli olandesi e tedeschi, il Censis che le famiglie in grado di risparmiare sono meno del 10% dato che solo un terzo arriva a fine mese senza dover stringere la cinghia e Il Sole 24 Ore ha più volte denunciato il credit crunch che colpisce imprese e famiglie.
Potremmo continuare con gli effetti delle cure amare del "salva-Italia": l'aumento della benzina, la mini-stangata per le addizionali locali e regionali e l'Imu alle porte per un totale di 1.600 euro in più per famiglia media nel 2012. E potremmo seguitare con la spinosa riforma del mercato del lavoro da portare a termine, mentre l'Istat ci ricorda che ci sono anche 3 milioni di inattivi "scoraggiati", che il lavoro lo vorrebbero ma non lo cercano. Intanto il Paese si dimostra sempre più gerontocratico e avaro con i giovani: la loro ricchezza media e i loro redditi sono crollati negli ultimi decenni, mentre quelli dei lavoratori anziani e pensionati sono aumentati. La disoccupazione coinvolge un giovane su tre: non resta che lo shelter familiare per ammortizzare compensi frugali e precari o addirittura l'inattività come accade per oltre due milioni di Neet. Un quarto delle famiglie ha subìto un licenziamento di un componente o la sua caduta in cassa integrazione e due milioni di esse hanno un giovane in casa alla ricerca di un ruolo in un mercato del lavoro degenerato e fuori squadro.
In breve, il timore, condiviso anche dal presidente della Repubblica, è che gli italiani non siano in grado di far fronte a questa impervia traversata del deserto, avendo fede in Monti e nel suo governo tecnico. Il rischio è che si logorino le reti di protezione familiare e che non solo le fasce più deboli, ma anche il ceto medio dipendente e autonomo "in bolletta" provi insofferenza e risentimento.
Del resto, Bankitalia ha confermato la verticalizzazione della nostra struttura socio-economica a danno dei ceti medi (su cui grava gran parte della pressione fiscale) e soprattutto dei ceti più deboli.
Famiglie in bolletta, imprese "senza carburante", giovani che rimangono a casa mentre cresce il doppio lavoro. Si teme che il fronte interno sociale diventi incandescente e che i partiti, già frustrati per i livelli minimi di fiducia riscossi, a ridosso del mini-test amministrativo, siano tentati di cavalcare il malessere sociale. In realtà sono deboli, mentre Monti resiste su livelli di fiducia sociale che né Berlusconi né Prodi avevano mai raggiunto.
Questa fiducia ha come fondamento aspettative non solo di risanamento e di crescita, ma anche di recupero politico e morale del Paese. La fiducia è stata conquistata da Monti sedando gli interessi di "pancia" degli italiani con la pillola di una "buona" leadership, competente e soprattutto etica, diversa da quella "cattiva" della politica e perciò immune dalle tediose e costose malefatte di un'élite politica che, intenta a curare i propri interessi autoreferenziali, ha dato spazio a corruzione ed evasione, alla crisi morale della "società complice". Addirittura, metà degli italiani, tra defezione (exit) e protesta (voice), pensa che la democrazia possa diventare migliore senza l'intermediazione dei partiti. Al contrario, l'azione di governo trova ancora una solida maggioranza favorevole e Monti disintegra i leader politici in quanto a consenso: esperti alle stelle e politici in caduta libera nelle stalle (oggi è il turno della Lega).
Quanto alle difficoltà socio-economiche, si sottovaluta che le famiglie si sono già riposizionate su un mood austero, su comportamenti e consuetudini di consumo che stanno a fortiori cambiando. Se lo "stato delle cose" si manifesta con durezza, non c'è più la politica delle promesse mancate su cui scaricare il risentimento. Parte consistente della società è ormai consapevole, dopo i drammatici incendi finanziari della scorsa estate, che il risanamento del Paese è indispensabile e che le retribuzioni sono basse perché economia e produttività da anni sono stagnanti. Monti non deve tuttavia trascurare che qualcosa in più va fatto per aiutare il Paese a riprendersi e crescere: l'austerità aggrava la recessione in corso e la fiducia non è sinonimo di fede integralista. Sono i giovani, in particolare, a subire "il Paese bloccato": lo dimostra anche il grande calo d'incidenza dei giovani imprenditori(-14% in cinque anni). Non è sufficiente consentire ai più intraprendenti di aprire una società con un euro, ma è necessario dar loro opportunità di dotarsi di mezzi e strumenti per operare come "esploratori del futuro". Le banche possono fare molto al proposito e, soprattutto, possono favorire investimenti selettivi nel terziario e nella tecnologia industriale, dando spazio a nuove idee piuttosto che continuare a sostenere quelle spesso decotte dell'establishment economico.
Speriamo che prevalga la geometria del buonsenso e che quanto prima si riesca a mettere in campo una progressiva riduzione del cuneo fiscale che opprime imprese e lavoro, una misura condivisa dalle parti sociali.
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