Serve una svolta nelle politiche sulla droga. Puntare sulle misure alternative al carcere

Dalla Rassegna stampa

Un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per la violazione dell’art. 73 della Legge Fini-Giovanardi sulle droghe (detenzione di sostanze illecite). Alla fine del 2012 gli ingressi totali in carcere sono stati infatti 63.020, quelli per violazione del solo art. 73 della legge antidroga 20.465, pari al 32,47 %.
Sono i dati dell’edizione 2013 del “Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi”, presentato in questi giorni dalle organizzazioni da anni impegnate su questi temi, che chiedono oggi una riforma profonda delle politiche sulle droghe e avanzano una proposta di interventi legislativi urgenti per limitare il flusso di entrata in carcere e costruire alternative alla galera per i tossicodipendenti. I testi sono stati depositati come proposte di legge di iniziativa popolare, per le quali si stanno raccogliendo le firme in molte piazze italiane.
Firme importanti, perché qualcosa bisogna pur cambiare in una situazione carceraria, in cui i tossicodipendenti sono per lo più parcheggiati in una specie di limbo inutile, se non pericoloso, e spesso escono in condizioni peggiori di quando sono entrati. Il racconto di una donna detenuta e di un ragazzo immigrato giovanissimo e finito ben presto nel disastro della droga ci fanno capire che le droghe portano in carcere persone giovani, e rovinano loro la vita: bisogna allora cercare strade nuove, puntare di più sulle misure alternative, smetterla di credere che la soluzione sia rinchiudere le persone.

Ho fatto una vita schifosa, droga e galera

Spiegare la situazione in cui mi trovo è semplice: sono in carcere, ho buttato via più di dieci anni della mia vita, ho un figlio che non vedo da due anni, ho i genitori anziani che non so ancora quanto mi durano, sinceramente questa vita mi fa schifo, non me ne frega più di niente, voglio che mi lascino perdere, voglio diventare un punto invisibile qui dentro.
Voglio essere lasciata in pace, quella è la mia branda, quello è il mio armadietto, fatemi fare il mio fine pena e non rompetemi le scatole.
Il problema è che non ho neanche le idee chiare sul mio fine pena, che dovrebbe essere nel 2017, o forse no?! Poi magari arrivano altre denunce e tutto il resto e forse vado anche al 2020, quando finisci per diventare dipendente dalla droga, non tieni più neppure il conto dei processi e delle condanne e degli anni in più di pena che ti possono arrivare.
Io non sono abituata ad avere paura, non ho paura quasi di niente, non ho paura neanche di morire, però devo stare tutti questi anni qui dentro, e allora l’ansia comincia a mangiarmi dentro. Mia mamma ha 75 anni, se un giorno mi chiamano giù in matricola e mi dicono che mia mamma è morta io non so cosa faccio! E lì ho paura! Ho paura! Perché io non so se vivo un giorno di più?! Se poi dico che mio figlio sono più di due anni che non lo vedo, mi domando anche continuamente: è giusto che vado avanti, che cerco di combattere per vederlo o è meglio che gli lascio fare la sua vita? Senza rompergli le scatole, senza fargli fare avanti e indietro per le galere fino a quando non ha non so quanti anni, perché io in cambio cosa gli darei? Cosa gli posso dare? Io che non ho niente, che cosa gli do? Che viene sei volte al mese in galera a vedere una madre che non conosce neanche più, a vederla chiusa così qui dentro, cosa gli spiego, cosa gli dico, che ha un padre sotto terra e una madre di m., cosa gli dico? Cosa gli spiego a quel bambino, allora cosa faccio? Mi faccio un esame di coscienza, dico che ho vissuto finora una vita schifosa, droga e galera, e allora continuo a farmela la mia vita schifosa, non tiro anche mio figlio nel mio schifo, lo lascio dov’è, lo lascio in pace?! Però non so cosa fare perché sento di aver bisogno di quel bambino, ma quello di cui ho bisogno io, non è detto che faccia un bene a lui, perché ormai la mia vita rischia di essere del tutto rovinata.

T. S.

Emigrare a sedici anni e poi farsi tentare dalle “scorciatoie” della droga

Era una bella giornata d’estate, un sole incandescente batteva sulla costa dell’Adriatico. Il 10 agosto del 2003 fu l’inizio della mia avventura in un Paese straniero.
All’epoca ero minorenne, avevo 16 anni per l’esattezza, ma ciò non mi fermava dall’idea di realizzare i miei sogni. Dico sogni perché sin da piccolo nel mio quartiere in una città dell’Albania sentivo spesso parole tipo: ciao, amico mio, morto di fame, buongiorno, e quelle parole mi sembravano magiche, e penso che abbiano inciso profondamente sul mio cammino da grande.
Una volta sbarcato a Brindisi con il traghetto, clandestinamente, mi pareva di volare, il cuore mi batteva a mille, ero ubriaco di felicità. Con tanta fatica sono riuscito a prendere il treno per Padova, dove abitava mia zia con i suoi due figli, loro mi hanno accolto calorosamente e dato ospitalità.
Dopo una settimana ho cominciato a lavorare con mio cugino più grande, lui era un artigiano idraulico, così gli davo una mano e lui mi pagava come apprendista.
Filava tutto liscio, lavoravo da tre mesi senza interruzione, avevo messo qualche soldo da parte e i miei sogni mano a mano diventavano realtà. Però c’era qualcosa che mi dava fastidio e a volte mi faceva tanta rabbia. Avete presente quando ti spacchi la schiena lavorando onestamente e alla fine non vieni rispettato, neanche degnato di un semplice saluto tipo “ciao”? Mi riferisco a quelle persone che davano lavoro a mio cugino, architetti, ingegneri.
Io nella mia cultura non considero nessun essere umano superiore, a prescindere dalla posizione sociale che occupa. Ma neanche mi considero superiore a nessuno.
Quando ho chiesto a mio cugino perché questa forma di ostilità, lui mi ha rimproverato dicendomi che ero un ragazzino e queste cose non le dovevo mai più pensare. Può essere che io ero un ragazzino, però avevo bisogno che qualcuno mi spiegasse con più sincerità che a volte sul lavoro bisogna anche subire atteggiamenti sgradevoli, e magari sarei diventato più flessibile. Ecco questa ipocrisia invece non mi stava bene, io detesto l’ipocrisia, e cosi decisi di andare per la mia strada.
Ben presto finii in una comunità per minori, e iniziai a frequentare la scuola, ma non riuscivo a integrarmi, volevo un lavoro che però non era permesso in comunità. Compiuti i 18 anni venni chiamato dal direttore, che mi spiegò che loro non avevano più la possibilità di ospitarmi in quanto avevo raggiunto la maggiore età. E per la legge dovevano sbattermi fuori subito, però lui fu gentile e mi concesse una settimana di tempo.
Una volta fuori dalla comunità cominciarono le peripezie, ormai ero grande, o meglio dovevo crescere in fretta, questo pensiero mi spingeva a cercare sempre di più per la mia vita.
Nel giro di un breve tempo caddi nella tentazione della droga, diventai uno spacciatore e nello stesso tempo un consumatore di cocaina. Ora so che quel di più che ho cercato per la mia vita mi ha portato in una brutta strada, e la vita me l’ha rovinata e sicuramente non migliorata.
La droga ha un fascino particolare, ti prende e ti trascina in un mondo dove ti sembra di essere solo tu e nessun altro, ti fa sentire importante.
Mi viene in mente uno scrittore famoso che dice molto ironicamente “Guarda la coca e vedrai solo della polvere, guarda attraverso la coca e vedrai il mondo”,in un certo momento della mia vita all’età di 18-19 anni ho pensato di vedere il mondo da quel punto di vista superficiale e distorto.
La droga poi ti fa conoscere delle compagnie che in quei momenti ti sembrano i tuoi migliori amici, ma in realtà non è così. Menzogna, la tua vita diventa tutta una menzogna e una continua autodistruzione della tua stessa personalità. Come è successo a me, frequentando delle compagnie poco raccomandabili mi sono trovato in mezzo a un omicidio per un regolamento di conti. Il reato per cui sono stato condannato è concorso in omicidio e sto pagando con la pena di anni dieci mesi sei di reclusione.
Quando entri in carcere una rivoluzione interiore travolge radicalmente la tua vita precedente. Riflettendo capisci che non puoi essere nato solo per provocare guai e nuocere agli altri, e cosi il tuo inconscio prova forti sensi di colpa e ti spinge a costruire, anche se con tanti punti di domanda, un itinerario diverso per la tua nuova vita.
In sei anni di carcere ho capito che l’essere umano ha una intelligenza che, se non si sviluppa in maniera equilibrata, diventa distruttiva per la sua umanità stessa. Ma credo sia anche importante capire che se il cattivo uso della propria intelligenza ha generato cattive azioni, quella stessa intelligenza può essere fatta fruttare per trovare i mezzi per cambiare, dando una svolta importante alla propria vita.

Lejdi S.

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