Senatori da bar

C 'è quello che legge le pagine della cronaca al tavolino del bar e commenta: "Solo dieci anni! Ma sono pazzi questi giudici?". C'è l'altro che risponde: "Io li sbatterei dentro e butterei la chiave" e quelli che in autobus o in fila alla posta ingannano il tempo scambiandosi opinioni su un auspicabile ricorso alla pena di morte. E infine c'è chi mette in guardia dal pericolo che gli ex galeotti rubino il lavoro alla gente per bene. Queste ultime non sono però chiacchiere da bar ma, purtroppo, preoccupazioni espresse da un senatore della Repubblica: il leghista Sergio Divina che pochi giorni fa, commentando il protocollo di intesa sottoscritto dal ministero della Giustizia con la provincia di Trento sul reinserimento sociale e lavorativo di chi esce dal carcere, ha osservato che «in momenti come questi, parlare di creare percorsi lavorativi preferenziali per detenuti, è uno schiaffo in faccia alle tante persone, giovani e non, che si stanno arrovellando per trovare un posto di lavoro e poter continuare a vivere onestamente col proprio sudore». Il ministro Severino e il presidente della Provincia Dellai - ha aggiunto il senatore - pensassero piuttosto a un modo per far lavorare i detenuti nelle carceri che lo consentono. E a tal proposito il nostro ha perfino azzardato una proposta: perché non seguire l'esempio della Germania, dove «il lavoro nelle carceri è obbligatorio, con rare eccezioni per donne incinte e ultrasessantacinquenni, e produce effetti positivi tanto per i detenuti quanto per la comunità alla quale il detenuto costa cifre importanti e per le imprese che possono reperire manodopera a prezzi competitivi»?
Nel frattempo lui, il Divina, si sarebbe già messo a lavoro su un disegno di legge che prevede sconti di pena ai reclusi che "liberamente" (e non era scontato, viste le premesse) volessero pedalare su apposite biciclette dotate di generatore elettrico in grado di produrre energia pulita a servizio delle stesse strutture carcerarie o da mettere in rete. «Solo mediante questi percorsi "rieducativi" possiamo pensare che a pena scontata i detenuti saranno nelle condizioni di reinserirsi nella società», chiosa il senatore leghista.
La verità è che nelle prigioni italiane non sarebbe necessario rendere il lavoro obbligatorio, perché se potessero i detenuti sarebbero ben contenti di rimboccarsi le maniche, invece di stare 22 ore al giorno a fissare il soffitto. Purtroppo però l'amministrazione non sa con quali soldi pagarli e dunque il lavoro diventa in molti casi un'attività svolta su base volontaria. Formazione e lavoro sono invece la strada più veloce per il reinserimento sociale e anche il miglior antidoto alla recidiva. Rendono la società più sicura. Al contrario di dichiarazioni incendiarie che rischiano di trasformare la crisi economica in conflitto sociale.
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