Scattone, l'eterno processo

Ci sono pene che non finiscono, come ferite che a ogni passo sì riaprono e fanno male. E riprendono a sanguinare, senza mai potersi rimarginare, anche quando per lo Stato e le sue istituzioni sono già cicatrici. Sono ergastoli morali, non scritti su una sentenza di condanna ma impressi sulla pelle, come marchi a fuoco, da un giudice senza toga, che non siede in tribunale. Siede invece, spesso e volentieri, sulle comode poltrone di studi televisivi, o negli affollatissimi salotti 2.0, dove intorno a una gogna si celebra uno spettacolare girone di ritorno di processi già conclusi. Un quarto grado che tra- sforma il giudizio in supplizio per chi, dopo aver scontato per intero la pena comminata in sede giudiziaria, ha diritto a riprendere il corso della propria vita. E il dovere di farlo sui binari della legalità. A Giovanni Scattone, però, questo diritto è stato negato; e impedito di poter svolgere il proprio dovere di insegnante, sebbene la legge li garantisca entrambi. La stessa legge che lo aveva condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione per l'omicidio della giovane studentessa Marta Russo. Una volta fuori dal carcere, e saldato il debito con la società, Scattone - che si è sempre dichiarato estraneo a quel terribile delitto - era tornato tra i banchi del liceo a guadagnarsi da vivere insegnando filosofia. Fino a quando, lo scorso settembre, il caso ha voluto che gli venisse assegnata una supplenza presso il liceo Cavour di Roma: quello frequentato da Marta Russo. Ha provato a resistere, Giovanni Scattone, ma neanche il sostegno dei suoi studenti, che Io hanno definito un ottimo insegnante è servito a metterlo a riparo dal polverone mediatico, che rapido si è levato non appena è circolata la notizia. Così, pochi giorni fa, l'uomo ha rinunciato all'incarico e ha lasciato il liceo Cavour: «una decisione di buon senso», ha commentato il presidente dell'Associazione nazionale presidi, «l'unica soluzione possibile sulla base della pressione sociale». Una soluzione che lo lascerà senza stipendio per il resto dell'anno. E che però, almeno per il momento, riempie la pancia dei tanti che in questo Paese confondono la sete di vendetta col desiderio di giustizia. Di quell'ampia fetta di opinione pubblica che denuncia lo scandalo di chi si sottrae alla galera, salvo poi scagliarsi, con la stessa rabbia, contro chi in carcere ci ha trascorso anni. Riuscendo a coltivare la voglia di reintegrarsi perfino in un sistema detentivo come quello italiano, nel quale la rieducazione è più un miracolo che un obiettivo.
© 2011 Gli Altri. Tutti i diritti riservati
SU