Sardegna: viaggio nella nuova Cayenna… costruite quattro nuove carceri, tra i detenuti che andranno ad occuparle anche 190 boss mafiosi

Dalla Rassegna stampa

In Italia negli ultimi anni sono stati concepiti tanti progetti di edilizia penitenziaria. E visto lo stato delle nostre carceri, non tutti sono andati a buon fine. Ma è nel 2010 che la questione sovraffollamento diventa urgente. Sono intollerabili le immagini delle celle di galere dove lo spazio vitale per recluso è ben lontano da quei 7 metri quadrati a prigioniero che l’Europa impone come standard minimo di civiltà.
Il 13 gennaio 2010 il Governo decreta lo stato d’emergenza, poi lo proroga fino al 31dicembre 2012, quando con una evidente sterzata rispetto alla strada seguito fino ad allora, viene creata la figura del commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie. Ha il compito di rimodulare l’ultimo piano, quello del 2010, realizzato solo in minima parte dal ministero delle Infrastrutture. Era un pò ambizioso, visto l’impegno di spesa che non faceva i conti con i tagli imposti dalla crisi. E allora niente nuove carceri: saltano dai programmi Bari, Nola, Venezia, Mistretta, Sciacca, Marsala e i nuovi padiglioni di Salerno, Busto Arsizio, Alessandria, alcuni previsti dal 2003. Proprio come le quattro carceri appena finite in Sardegna, che invece non vengono cancellate dalla nuova mappa penitenziaria.
Per il resto d’Italia, è meglio ristrutturare le sezioni esistenti e realizzare solo quattro strutture: Torino, Catania, Pordenone e Camerino, che al momento sono solo in fase di progettazione o pubblicazione del bando. In totale, il Dap punta a creare 11.573 posti, me non è chiaro entro quale scadenza, e soprattutto se in aggiunta ai 47mila posti esistenti oppure solo per sostituire altrettante celle obsolete e inagibili.
È in terra sarda che i progetti del 2003 vanno avanti, grazie al meccanismo degli appalti sottratti alle regole di pubblicità e trasparenza perché accelerati da ragioni d’urgenza. Le gare per lavori coperti dal segreto di Stato vengono assegnate nel 2005, e le opere si concludono a scaglioni, in base alle alterne sfortune dei diversi cantieri. Fanno paura soprattutto i 190 posti destinati ai boss in due penitenziari dell’isola, perché il timore è che la piovra possa affondare i tentacoli anche qui.
L’isola delle vacanze dovrà ospitare almeno un terzo dei 670 sorvegliati speciali italiani, sempreché non trovino conferma le voci su celle di massima sicurezza da realizzare anche nell’istituto nuorese di Badu ‘e Carros. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria smentisce. E così per il momento a Nuoro “risiede” solo Antonio Iovine, ‘o ninno, il casalese arrestato nel 2010: il suo trasferimento aveva fatto salire sulle barricate politici, residenti, scatenato persino la protesta del vescovo durante la messa domenicale. Chissà cosa accadrebbe se i boss arrivassero a centinaia.
Oggi, in attesa dell’apertura delle sezioni speciali a Cagliari-Uta e Sassari-Bancali, quest’ultima praticamente in fase di arredamento, sono già pronte le stanze per 400 prigionieri in regime di Alta Sicurezza. Sono condannati per reati legati alla criminalità di tipo mafioso, ex 41 bis declassati oppure trafficanti di droga e gregari delle cosche, da confinare in due delle quattro nuove strutture, Oristano-Massama e Tempio-Nuchis.
A conti fatti, si aggiungono ai 2.000 posti di partenza (prima dell’apertura di Massama e Tempio, sebbene la mappa dei posti disponibili non sia mai completamente chiara), per un investimento che sull’isola ammonta a 285 milioni di euro. Dei 2.700 posti letto finali - numero indicato dal provveditorato regionale del Dap - almeno 1.500 saranno occupati da detenuti stranieri, molti dei quali trasferiti dalla Penisola in una regione che soffre una crisi spaventosa.
Paure e proteste. Sardegna è sinonimo di stagnazione economica, con picchi di disoccupazione: nell’area più depressa d’Italia, il Sulcis, il lavoro manca a 4 giovani donne su 10. Dagli anni Cinquanta, alla regione sono espropriati 35mila ettari di coste incontaminate cedute di malavoglia alle servitù militari, poligoni compresi.
E neppure il turismo riesce a colmare gli abissali vuoti lasciati dall’industria: nel 2012, la fabbrica delle vacanze ha perso quasi il 16 per cento delle presenze sull’anno precedente, da 11 a 9 milioni. Condizioni che esasperano gli animi di chi vede nel trasferimento dei pezzi da novanta della criminalità i germi di possibili infiltrazioni mafiose. Il contatto in carcere può generare affiliazioni e aprire varchi prima inesplorati. Ma sottovoce molti ammettono diffidenza anche nei confronti dei familiari in visita ai malavitosi.
A ogni piè sospinto del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, si sono levate proteste contro “lo Stato patrigno”. Paure manifestate durante convegni, attraverso interrogazioni parlamentari e raccolte di firme. Sebbene non sia ancora chiaro che, a progetto completato, poco lontano dalle sfavillanti oasi di Porto Cervo o La Maddalena, la Sardegna sarà caratterizzata dal più alto rapporto tra detenuti e popolazione residente: 2.700 posti detentivi (facile intuire come non resteranno vuoti) su un milione e seicentomila abitanti. Vuol dire che per centomila sardi, a celle piene ci saranno 168 prigionieri, mentre nel resto del Paese post Piano carceri - quando i posti detentivi saranno passati da 47mila a circa 58mila 500 - la quota si ferma a 97. Mentre rispetto all’attuale distribuzione della capienza, il tasso italiano scende a 78 posti detenuto ogni 100mila abitanti, mentre i reclusi sono 110.
L’ombra di Provenzano. Finora Cosa Nostra in Sardegna, dicono gli inquirenti, ci è arrivata per investire nel settore immobiliare. E indirettamente avrebbero fatto capolino anche Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, attraverso un imprenditore palermitano che aveva gestito la metanizzazione della Sicilia, tra gli anni Ottanta e Novanta. La Guardia di finanza ha da poco sequestrato il patrimonio dei suoi eredi, per la Dda frutto di quei legami: 48 milioni di euro in case, negozi, fabbricati commerciali, opifici in Sicilia. E tre appartamenti a Cala del Faro, poco sopra Porto Cervo. una ragione in più per far tuonare chi da sempre si oppone alla creazione in Sardegna di due penitenziari per il 41 bis.
“Ora che vengono maledettamente smentite le dilettantesche rassicurazioni sull’impossibilità di infiltrazioni mafiose in Sardegna, il ministro della Giustizia deve bloccare immediatamente il trasferimento dei capimafia in regime di 41 bis”, ha chiesto il deputato Mauro Pili (Pdl) in una interrogazione urgente al Guardasigilli Cancellieri. “Non si può continuare a giocare con il fuoco, la presenza di patrimoni legati ai capimafia in Sardegna è la conferma di un pericolo gravissimo di infiltrazioni mafiose. E l’isola sarebbe ancora maggiormente colpita da questo rischio se si dovesse concentrare nelle carceri sarde il 50% dei capimafia affidati al carcere duro”.
“Stanza di compensazione per le altre regioni”, ha definito la Sardegna, rispetto allo scacchiere penitenziario nazionale, il provveditore regionale del Dap Gianfranco De Gesu, capo di un circuito isolano completo perché comprende tre colonie penali agricole, uniche in Italia. Lo confermano i numeri: i detenuti sardi rappresenteranno una percentuale limitata dei reclusi dell’isola, in media 1.100, quota che fa ottenere un tasso di carcerizzazione - misura del rapporto tra detenuti residenti e popolazione regionale - tra i più bassi d’Italia.
Poi ci sono gli stranieri, circa 700. Ma per riempire le quattro nuove prigioni moltissimi saranno “importati” dalla Penisola, con buona pace del principio della territorializzazione della pena sancita dall’ordinamento penitenziario, e quindi di una espiazione giusta. “È chiaro che molti dei detenuti a media sicurezza da trasferire in Sardegna saranno stranieri, nella convinzione errata che possano essere sradicati dal loro contesto solo perché ufficialmente non hanno legami sul territorio italiano. Ma non è così”, spiega Alessio Scandurra dell’associazione Antigone, che monitora le condizioni delle carceri italiane.
Il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, è invece critico sull’impostazione data all’ultimo Piano nazionale, perché “in questo momento di drammatica assenza di risorse, capita che alcuni detenuti si vedano consegnare un solo rotolo di carca igienica al mese. I fondi del Piano carceri 2012 potevano servire a ridare dignità a chi già è recluso in quelle vecchie, anche perché quei posti letto li vedremo fra quattro o cinque anni. A parte quelli in Sardegna”, chiarisce.
“Di queste carceri non si sentiva la necessità, perché rappresentano la solita utopia negativa che pretende di inseguire la crescita della popolazione detenuta con nuovi edifici, mentre in altre regioni ce ne sono alcuni costruiti e non utilizzati”, bacchetta il senatore pd Luigi Manconi, presidente dell’associazione “A Buon Diritto”, che si riferisce alla epopea del carcere di Reggio Calabria - Arghillà, realizzato da tempo ma inserito nel Piano carceri 2012 per consentirne l’apertura. Per risolvere il sovraffollamento nelle prigioni, Manconi punta invece su politiche deflattive, più che edilizie. Al presidente del consiglio regionale della Sardegna Claudia Lombardo (Pdl), nata proprio in quel Sulcis-Iglesiente afflitto dalla povertà, preme invece ricordare tutti i casi che fanno dell’isola una sorta di scantinato d’Italia.
“Abbiamo già contribuito molto facendoci carico dei rifiuti di Napoli portati qui nel 2008, senza citare le migliaia di ettari occupate da servitù militari. E poi le nostre entrate fiscali, 800milioni negati per anni e trasferiti solo di recente ora bloccati a causa del patto di stabilità. Per non parlare della mancata trasformazione in zona franca. Lo Stato sfrutta la nostra specificità solo per mandarci mafiosi”.
Il passato che ritorna. Le proteste contro il trasferimento di criminali non hanno colore, accomunano democratici, azzurri, centristi, indipendentisti e sardisti, perché nessuno ha dimenticato le due Alcatraz sarde. Nel 1977, l’Asinara e Badu ‘e Carros furono dichiarate carceri speciali, due dei cinque istituti d’Italia scelti dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sulla spinta dell’emergenza terrorismo.
Furono poi utilizzate per isolare uomini come Francis Turatello, Luciano Liggio, Totò Riina, passando per i volti noti dell’eversione. Il bunker di Nuoro racchiudeva l’élite feroce della criminalità italiana e per questo venne descritto come “un braciere perennemente acceso” dall’allora procuratore di Nuoro, Francesco Marcello. Soprattutto per la possibilità che tali personaggi trasmettessero il loro know how delinquenziale ai detenuti locali. La possibile concentrazione di reclusi al 41 bis fa tornare in bocca il sapore amaro di quel passato.
Il pacchetto Maroni. La collocazione delle sezioni di massima sicurezza è frutto di una scelta politica che risale all’ultimo governo Berlusconi. Approvato nel luglio 2009, oltre a introdurre il reato di clandestinità, il pacchetto sicurezza dell’allora ministro dell’Interno Maroni aggiungeva poche parole a un articolo dell’ordinamento penitenziario.
Parole apparentemente ininfluenti ma che, applicate con uno zelo da paese scandinavo, hanno trasformato radicalmente l’intervento di edilizia carceraria partito in Sardegna nel 2005, quando non contemplava nemmeno una cella per il regime duro. Recita il codicillo della legge 94, approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento il 15 luglio 2009: “I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari”.
Cagliari e Sassari. Così, agli iniziali progetti di case circondariali a Cagliari e Sassari, con cantieri già a buon punto, a fine 2009 vengono aggiunte in tutta fretta le appendici dei mini bunker, che rallentano i lavori. L’apertura degli istituti nati per sostituire le penose galere di San Sebastiano (Sassari) e Buoncammino (Cagliari) è rinviata di anno in anno. Bancali, al nord, è la speranza di una vita migliore per i reclusi del penitenziario sassarese di San Sebastiano, costruito nel 1871 e che da allora ha visto ben poche migliorie. Le condizioni dei detenuti in questi bracci fatiscenti - dove nel 2000 una rivolta di detenuti contro le condizioni di vita, fu sedata con un pestaggio organizzato - sono ai limiti del disumano, se non fosse per la dedizione di operatori e personale che lo gestiscono con conduzione quasi familiare.
Nel 2009, l’intoppo del 41 bis arriva come un fulmine a ciel sereno anche per loro. L’apertura dev’essere rinviata al 2010, poi al 2011 e a ottobre 2012, scadenza infranta nonostante la promessa del guardasigilli Severino, in visita a Sassari a maggio 2012. Ora tutto è pronto: i cancelli saranno aperti entro luglio 2013. Costato 85 milioni e realizzato dalla ditta Anemone, coinvolta negli affari della Cricca per i lavori del G8 mancato a La Maddalena, il carcere di Bancali - area vasta di Sassari - conta 92 posti per i boss, sui 465 totali.
A Uta (Cagliari), stesso spazio dedicato al 41 bis, ma con una capienza regolamentare che sale a 550 letti (la stima del commissario straordinario li fa arrivare a 586). Nel capoluogo, Buoncammino (anno d’apertura: 1857), è l’unico istituto sardo afflitto da un sovraffollamento di tipo metropolitano, con circa 500 detenuti stipati in meno di 300 posti.
Siamo riusciti ad entrare nel complesso di Uta, pochi chilometri da Cagliari: è uno dei quattro complessi destinati ad ospitare i capicosca sottoposti al regime del 41 bis che aprirà i battenti entro la fine di quest’anno. Si teme che la Sardegna diventi la terra con la più alta concentrazione di penitenziari a regime duro. Oltre questo muro grigio non guarderanno. Mai.
Dal rettangolo per l’ora d’aria delimitato da cemento armato, dove si affacciano le celle-bunker a gruppi di quattro, non vedranno il complesso rigoglioso di Monte Arcosu o i fenicotteri dello stagno di Cagliari. Siamo nel braccio in costruzione che sarà capolinea per molti mafiosi, una delle più grandi e moderne sezioni d’Italia destinate a capicosca sottoposti al 41 bis, il regime del carcere duro. A Uta, 18 chilometri dal capoluogo sardo, entro il 2013 sarà aperta una delle quattro supercarceri che contribuiranno a fare della Sardegna, paventa qualcuno, la Cayenna nazionale.
Turismo penitenziario. L’avverbio “preferibilmente” che il pacchetto sicurezza riferisce alla scelta delle aree insulari come meta per i mafiosi (esclusa, ovviamente, la Sicilia), restava l’unica speranza per chi teme una concentrazione di boss in Sardegna. Ora sono distribuiti in 13 sezioni della Penisola, ma nella più realistica delle previsioni, sul suolo sardo ne arriverà almeno un terzo. “È una scelta rischiosa, ma temo inevitabile”, ammette il pd Guido Melis, ex deputato firmatario di diverse interrogazioni nella passata legislatura.
Non si arrende invece la sua compagna di partito, presidente della provincia di Sassari, Alessandra Giudici, che a Monti, Severino e al governatore sardo Cappellacci nella primavera 2012 aveva scritto una lettera di protesta, rimasta senza risposta. “Oggi come allora non possiamo accettare che criminali di questo livello siano trasferiti in massa in un territorio che può facilmente subire contaminazioni pericolose”, si sfoga.
Sassari è la terra dell’industria in dismissione, con un ipertrofico settore pubblico in sofferenza e il terziario che è speranza infranta. A chi le ricorda che un penitenziario con centinaia di dipendenti tra educatori, agenti e un flusso di familiari in arrivo da fuori può costituire una risorsa economica, pur ammettendolo lei oppone una critica di sistema: “Non voglio nemmeno sentir parlare di turismo penitenziario, stiamo facendo di tutto per realizzare un nuovo modello di sviluppo e puntare sulle carceri di massima sicurezza è una prospettiva ridicola”.
A Tore Cherchi, presidente della Provincia Carbonia-Iglesias, tra i possibili candidati del Pd per la presidenza della Regione, non piacciono le generalizzazioni. Eppure spiega: “Rispetto al piano di edilizia penitenziaria, nell’accostamento alla crisi del turismo si può cogliere una verità. Questa è un po’ meno l’isola delle vacanze, visto il trend drammatico registrato nel 2012, in un posto dove lo Stato ha chiuso tribunali, che sono presidi di legalità. E tutto quello che si aggiunge - conclude riferendosi anche alle aree intertette dalle servitù militari - è in negativo”.
Il primo a ipotizzare, con un’evidente iperbole, la conversione da turismo vacanziero a “turismo penitenziario mafioso” era stato Mauro Pili, deputato Pdl che del no alle carceri ha fatto una bandiera autonomista. Fa parte di quello schieramento che ha voluto il pacchetto sicurezza di Maroni. Ma di fronte all’obiezione, lui precisa: “La destinazione insulare si riferiva a un’area insulare, non certo a una regione, ed era indicata come preferibile, non obbligatoria. È chiaro che il Dap sta interpretando questa norma in modo restrittivo contro la Sardegna. Al di là del 41 bis - sottolinea - anche nei bracci di Alta Sicurezza ci sono esponenti del crimine organizzato, e qui ne arriveranno ben 400”.
Il rapporto della Dna. Rispetto al rapporto tra Sardegna e organizzazioni malavitose, la cronaca offre spunti poco confortanti. Dopo l’arresto in Gallura di un imprenditore edile siciliano accusato di associazione di stampo mafioso, gli inquirenti stanno facendo “accertamenti - conferma l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia - concernenti possibili infiltrazioni di soggetti mafiosi in appalti pubblici gestiti nell’area di Golfo Aranci”.
Conclamati, invece, sono i rapporti di fornitura fra trafficanti di droga locali e ‘ndrine attive in Lombardia. E sono solidi pure i legami con la Campania. “I collegamenti con la camorra si confermano anche alla luce dei nuovi dati forniti dalla Dda di Cagliari, con particolare riguardo alle attività di reinvestimento in Sardegna di danaro verosimilmente frutto di illecita provenienza in quanto riconducibile a clan camorristici” ribadisce lo studio della Dna pubblicato nel dicembre 2012. Sarà anche per questi segnali che l’ultimo presidente della commissione antimafia, il sassarese Beppe Pisanu, aveva auspicato addirittura la creazione di un’altra procura distrettuale in Sardegna oltre a quella di Cagliari, a Sassari. Perché quando si parla di Cosa Nostra, non si può abbassare la guardia: “Il rischio - aveva ammonito Pisanu - è sempre presente”. Per poi concludere amaro, rispetto alla destinazione delle carceri: “Ci hanno dato i germi, almeno ci diano gli strumenti per combatterli”.
“Nessun pericolo”. Sul fronte opposto, il provveditore regionale del Dap De Gesu, calabrese che la mala l’ha guardata in faccia da direttore all’Ucciardone e del carcere di Palmi, stigmatizza le proteste contro il trasferimento di mafiosi. “La Sardegna non ha mai registrato fenomeni del genere, è immune alla mafia, e non c’è alcun rischio di contaminazione tra detenuti in regime di massima sicurezza e criminali comuni. E vorrei ricordare come gli amministratori locali non siano affatto contrari agli istituti”.
Non ha preoccupazioni, ad esempio, il sindaco di Tempio Romeo Frediani, presente alla cerimonia di apertura dell’istituto, il 27 novembre 2012, con un certo entusiasmo. “La criminalità organizzata non è riuscita ad infiltrarsi nella nostra cultura negli anni del boom economico - aveva notato in quell’occasione - figuriamoci ora che la crisi attanaglia tutti i settori produttivi”. Concorda il presidente della Corte d’appello di Cagliari, Maria Grazia Corradini, che all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha respinto l’ipotesi di infiltrazioni mafiose in una regione refrattaria a quel sistema. Un concetto condiviso dalla presidente del Tribunale di Sorveglianza di Sassari, Maria Antonia Vertaldi, che ricorda: “La mafia è ovunque ci siano investimenti da fare, ma la Sardegna non è terra di conquista. Dobbiamo ricordarci che a gennaio la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per il sovraffollamento delle carceri e ora la prima urgenza è quella di adeguarci entro un anno a tali indicazioni”.

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