La Roma di Alemanno? Un romanzo criminale

Dalla Rassegna stampa

La sicurezza. Se c'è una parola che ha aiutato Gianni Alemanno, primo sindaco "di destra" nella storia della capitale, a vincere la sua corsa verso il Campidoglio è questa. La sicurezza. Basta con il buonismo veltroniano, basta con i vezzi sinistrorsi del multiculturalismo e della tolleranza, basta con i radicai chic che mangiano caviale e poi pontificano sull'integrazione senza aver mai messo piede in una stazione della metropolitana. Meno notti bianche e più poliziotti, meno feste del cinema e più controlli, meno buche e più decoro. Ritornelli grezzi ma efficaci, certamente aiutata dalla contemporanea campagna elettorale del Popolo della libertà e della Lega (che nel nord-est "sfondava" sempre su questi temi) e spesso giustificati da alcune cattive prove di "controllo del territorio" fornite dalle precedenti amministrazioni di centrosinistra.

E ora eccoci qui, a tre anni e mezzo di distanza, con il sindaco-sceriffo, l'alfiere del "legge e ordine", che davanti alle telecamere, dopo l'ennesimo fatto di sangue che ha sporcato le strade della capitale, denuncia la possibilità di una rinascita della banda della Magliana versione 2011. Tra sparatorie sul litorale, rese dei conti, pestaggi e omicidi, infiltrazioni della camorra e della 'ndrangheta, Roma pare essere tornata quella di Romanzo Criminale. Una città "plumbea", in cui serpeggia la paura, e si fa addirittura strada l'ombra della criminalità organizzata.

Qualche tempo fa, il segretario dei Radicali italiani Rita Bernardini lanciò un allarme: «C'è un grande riciclaggio di denaro derivante dal mercato illegale degli stupefacenti, guadagni che provengono dal proibizionismo, proprio intorno ai palazzi della politica; la lingua parlata sempre più, nei locali e nei bar intorno a questi palazzi, è il napoletano». Parole che sollevarono un polverone condito da accuse di "razzismo", e non poteva essere altrimenti. Bernardini specificò che si trattava di una sua impressione, ma rimase ferma nella denuncia di «una anomala proliferazione di locali nel centro della capitale, nei dintorni di Camera, Senato e Palazzo Chigi, con la spesa di centinaia di migliaia di euro in ristrutturazioni». Fu secco il commento dell'allora prefetto di Roma, Achille Serra: «È poco comprensibile che queste sottolineature giungano da organi istituzionali e politici, considerato che i luoghi deputati a tali denunce sono gli uffici di polizia dove nulla negli ultimi tempi è pervenuto».

Si offese addirittura, il sindaco Alemanno. E quando le prime ondate di violenza "anomala" incominciarono a lambire le vie della capitale, il primo cittadino non perse occasione per prendersela con gli allarmisti (di sinistra, ovviamente). Non solo accusò la fiction Romanzo Criminale di lanciare a una gioventù smarrita cattivi esempi, raccontando una realtà inesistente (vedi box a pagina 13), ma se la prese anche con i giornali, allorché commentarono le parole del pm della Dna Diana De Martino, ascoltato dalla commissione sicurezza della Regione Lazio («Roma è un mercato ideale per la criminalità organizzata in quanto città tranquilla dove c'è posto per tutti», disse). Parlare di mafia a Roma? Sono «titoli diffamatori», replicò il sindaco. «Ho sentito il prefetto, il quale a sua volta ha parlato con la Direzione distrettuale Antimafia e ci sembra che la situazione sia decisamente sotto controllo». Era il 24 maggio scorso.

E qualche settimana prima, il 21 marzo, all'indomani di un altro agguato urbano, il delegato del sindaco per le politiche della sicurezza, Giorgio Ciardi, spiegava ai giornalisti: «Azzardare paragoni con le favelas sudamericane, Chicago degli anni '20 o Romanzo criminale, come stanno facendo gli esponenti del centrosinistra, oltre a essere privo di ogni fondamento, è il frutto di una demagogia malata».

Intanto gli allarmi si susseguivano: il caso del Café de Paris, locale storico di Via Veneto e simbolo della dolce vita, che si scopre essere controllato da una delle cosche di 'ndrangheta più pericolose e potenti, gli Alvaro; 1'8 aprile, di fronte al Teatro delle Vittorie (il tempio del varietà televisivo anni ottanta) si ritrova il corpo senza vita di Roberto Ceccarelli, freddato da cinque colpi di pistola mentre era all'interno della sua auto; il 14 giugno Marco Calamanti viene ucciso con un crick per questioni di debiti per le strade di San Basilio; il 28 giugno, nel Rione Monti, a due passi dal Colosseo, un musicista, Alberto Bonanni, viene aggredito all'uscita da un locale da cinque persone; il 5 luglio, nel quartiere Prati, Flavio Simmi viene freddato da nove colpi calibro 9; poi nel quartiere Tiburtino, quindici colpi di pistola in strada, e Giulio Saltalippi, 33 anni, si ritrova un proiettile conficcato nell'addome; il 23 agosto due killer a bordo di una moto scendono davanti alla pizzeria Jolly di Morena e sparano uccidendo un 18enne, Edoardo Sforna, incensurato; il 19 settembre un 33enne con piccoli precedenti viene gambizzato al Trullo, in via delle Capre; il 10 novembre in piazza Nicosia, davanti al ministero delle Politiche comunitarie, viene ferito a colpi di pistola Paolo Maroccia, 48 anni, titolare di un bar-tabacchi. Infine la sparatoria di Ostia, il 21 novembre, a pochi metri da dove fu ucciso Pierpaolo Pasolini (altra pagina, fra le tante, della "Roma nera").

Due vittime, già note alle forze dell'ordine, Giovanni Galleoni, in passato legato a un boss della Banda della Magliana, e Franco Antonini. Associazione di stampo mafioso finalizzata al gioco d'azzardo, usura, estorsione e traffico di droga: questo il loro curriculum. E l'etichetta che si portavano appresso era chiara: i boss della "banda di Ostia". E così, dopo l'ennesimo colpo a quella che doveva essere la "sua" stagione di sicurezza, anche il sindaco si è "ammalato" di demagogia, arrivando a pronunciare la "parola proibita" davanti ai giornalisti: «Credo che il rischio criminalità organizzata sia molto forte».

È l'ammissione neanche tanto implicita di una sconfitta. A furia di "inseguire" gli zingari e la microcriminalità, di concentrarsi sul tema del "decoro" e della gestione dell'immigrazione (senza peraltro riuscire a migliorare granché la situazione, rispetto ai tanto vituperati anni della "sinistra al potere"), il primo cittadino e la sua giunta si sono dimenticati di monitorare e arginare l'avanzata delle mafie, quelle vere, quelle potenti.

Una sconfitta che è il riflesso del più generale fallimento, culturale prima ancora che politico, del centrodestra berlusconian-leghista, alla cui propaganda securitaria gli ex colonnelli della destra italiana si sono abbeverati, senza poi saper trasformare gli annunci in azione quotidiana. Ora la propaganda lascia spazio alla realtà. E Roma riscopre le sue ombre. Viene in mete un episodio delle ultime settimane: su via Merulana, nel centro della città, sono spuntati manifesti trionfanti: "Centomila lampadine in più per Roma. Più luce, più sicurezza, grazie Alemanno". Si leggeva a malapena: la strada era avvolta dal buio.

 

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