Ridurre il prelievo, priorità per il futuro

La "questione fiscale" - da tutti indicata come una delle priorità del Paese - continua a non essere affrontata per ciò che è: un'emergenza. Nessun altra valutazione sembra possibile, specie guardando all'azione del Governo, anzi, "dei Governi", sia quello che in questi giorni si appresta a concludere il proprio percorso sia quelli che lo hanno preceduto nell'ultimo decennio e più. Il risultato è che, sulla questione fiscale, siamo rimasti all'anno zero.
Si è fatta una riforma delle pensioni, è persino riuscito (pur con i limiti e i compromessi che conosciamo) un riordino del mercato del lavoro, ma sul fisco non rimane che una casella pressoché vuota. Molte buone intenzioni sul fronte del contrasto all'evasione (in attesa di verificare in futuro i risultati) insieme a qualche aspettativa ancora aperta sul terreno della semplificazione degli adempimenti. Nulla di nulla, invece, sul nodo-principe dell'emergenza fiscale, vale a dire la riduzione del prelievo. Anzi, qui va addirittura peggio. Perché – nonostante i buoni propositi e persino qualche incauto annuncio – il carico fiscale di cittadini e imprese non solo non è calato ma sembra invece destinato a continuare la sua corsa al rialzo.
È un brutto segnale. Che va in direzione diametralmente opposta rispetto a ciò che sarebbe servito e servirebbe per non soffocare né chi lavora né chi produce. E che va in direzione opposta anche rispetto agli obiettivi programmatici del governo Monti.
Il presidente del Consiglio - durante il discorso pronunciato in Parlamento a metà novembre 2011 - affermò che i pesanti vincoli di bilancio e la necessità di mettere in sicurezza i conti pubblici non avrebbero certo consentito manovre di alleggerimento delle imposte. E che, tuttavia, sarebbe stato almeno possibile modificare la composizione del prelievo fiscale.
Un disegno chiaro con una finalità altrettanto esplicita, visto che grazie alla «riduzione del peso delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e sull'attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà» si sarebbe - concludeva Monti - sostenuta «la crescita senza incidere sul bilancio pubblico».
Buone intenzioni che ora possiamo archiviare tra i "non pervenuti". O peggio, tra "i pervenuti male" perché abbiamo avuto la seconda parte della cura - l'aumento dell'Iva e l'Imu - senza avere la benché minima traccia della prima parte - le riduzioni su lavoratori e imprese. Esattamente come è successo ai buoni propositi, da tutti condivisi, di utilizzare i proventi della lotta all'evasione «per ridurre le aliquote legali» oppure di «programmare una graduale riduzione della pressione fiscale» utilizzando i risparmi della spending review.
La situazione dell'economia e dei conti pubblici era (e resta) gravissima, si dirà, complice un ciclo recessivo più duro e duraturo di quello che si era immaginato. Vero. Ma, a maggior ragione, un uso diverso della leva fiscale non è forse uno strumento di politica economica? E non è proprio in momenti come quello attuale che andrebbero stimolate la ricerca e l'innovazione?
Senza dire che molti altri segnali rafforzano l'idea di una "questione fiscale" abbandonata a se stessa. Non solo non si è fatto nulla per abbassare il prelievo ma - complice il Parlamento - neppure gli interventi a costo zero sono riusciti ad avanzare. Si pensi al disegno di legge delega, che, salvo parziali recuperi nella legge di stabilità, non arriverà al traguardo. Oppure al capitolo delle semplificazioni, sul quale non resta che confidare nella buona volontà dell'agenzia delle Entrate. Misure non risolutive, eppure importanti. Perché - sappiamo - insieme all'eccessivo peso di imposte e contributi, il nostro sistema sconta un profondo gap fatto di incertezze, di complicazioni, di scarsa trasparenza. Che, in qualche misura, delega e semplificazioni potrebbero almeno attenuare. È lo stesso gap che rende il nostro paese poco attrattivo per gli investitori stranieri, perché non solo le tasse sono elevate ma è anche difficile pagarle, con meccanismi troppo aleatori per la determinazione degli imponibili e quindi con rischi elevati (e costi elevatissimi) in termini di certezza del diritto.
Pressione fiscale, evasione, semplificazioni: questa è l'eredità che il futuro governo si troverà a dover gestire. Dimostrando nei fatti di voler invertire la rotta.
© 2012 Il Sole 24 Ore. Tutti i diritti riservati
SU