Ridateci il ministero

Dalla Rassegna stampa

La sala rumorosa e affollata dell'Auditorium del Palazzo dei Congressi di Roma racconta più di tante analisi economiche su quel che sta succedendo fra le imprese italiane presenti all'estero: un settore minoritario ma ormai decisamente robusto, che misura ogni giorno la sua funzione di traino nella formazione della ricchezza del Paese. E per questo vuole contare di più. Lo dicono la partecipazione massiccia di imprenditori, famosi o sconosciuti, così come le conversazioni animate prima degli interventi e perfino l'eleganza delle signore. Basta un colpo d'occhio per farsi l'idea di un mondo che prende coscienza del suo ruolo (testimoniato un trimestre dopo l'altro dai dati delle esportazioni, unica voce confortante in un'economia che cresce col contagocce) e comincia a rivendicarlo con orgoglio, addirittura con la richiesta di avere un ministero tutto per sé.

Il messaggio, a giudicare dall'andamento della due giorni organizzata il 28 e 29 ottobre dal viceministro Catia Polidori, è almeno in parte arrivato. Alla convention sono intervenuti (con l'eccezione del ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani) gli interlocutori da cui l'export aspetta risposte, dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al ministro degli Esteri Franco Frattini, tutti mostrando di prendere sul serio le rivendicazioni degli imprenditori. Anzitutto quella di poter fare di nuovo affidamento sui servizi dell'Istituto per il commercio estero (o di qualcosa che ne svolga la funzione), chiuso dalla sera alla mattina con la manovra di fine luglio.

Assicurazioni molto esplicite sono state date in tal senso alla platea da Berlusconi. L'Ice dovrebbe tornare in campo in tempi brevissimi, forse già nell'imminente decreto sviluppo, con una struttura più snella (probabile il dimezzamento del personale) e un maggior peso della rete estera. La sua gestione sarà affidata, con una suddivisione di competenze ancora non del tutto chiara, fra i ministeri degli Esteri e dello Sviluppo economico.

In ogni caso la promessa è che le imprese italiane saranno di nuovo affiancate da un organismo pubblico per le loro attività sui mercati internazionali, come chiesto in modo pressoché unanime dai sei tavoli del made in Italy (ciascuno per un diverso settore dell'export) che si sono messi al lavoro a luglio scorso. Anzi, nel frattempo ha cominciato a prendere forma un'idea ancora più avanzata: quella di far tornare in vita il vecchio ministero per il Commercio estero, accorpato nel 2008 al ministero dello Sviluppo economico. Il primo a parlarne è stato il consigliere del premier Massimo Calearo che, come anticipato da Panorama Economy, ha messo l'idea nero su bianco in una lettera a Berlusconi di tre settimane fa.

Il deputato ex democratico passato alla maggioranza di governo ha lanciato pubblicamente la sua proposta dal palco della convention, «Le esportazioni sono il nostro petrolio» ha detto Calearo «e insieme a turismo e beni culturali rappresentano uno degli asset fondamentali della nostra economia. È giunta l'ora che abbiano il loro ministero. A costo zero, visto che struttura e personale ci sono già. Occorre solo un decreto del Consiglio dei ministri». L'ipotesi, com'era facile immaginare, ha subito trovato adesioni fra gli imprenditori, ma ha anche creato un riacutizzarsi delle turbolenze politiche in parte responsabili della maldestra chiusura dell'Ice. Secondo le indiscrezioni circolate a margine della convention, proprio l'irritazione per la proposta di Calearo, sostenuta tra l'altro dal viceministro Polidori in un'intervista a Panorama Economy, sarebbe all'origine dell'inaspettata defezione di Romani, che ha fatto sapere di essere troppo impegnato con la missione italiana in India del 31 ottobre per essere presente. A ricevere il paper con le proposte degli imprenditori c'era così la Polidori. Al momento della partenza per la missione indiana, inoltre, si è scoperto che Romani era l'unico ministro e che Frattini, ancora una volta contrariamente alle previsioni, non vi avrebbe preso parte. È evidente, insomma, che si è messa in moto una competizione per conquistare il ruolo di interlocutori privilegiati del mondo dell'export italiano.

Se i diretti interessati sono sorpresi da queste rinnovate manifestazioni di interesse, non lo danno a vedere. Anzi, raccolgono al volo la proposta sostenuta da Calearo e Polidori. «Ricordo il ministero del Con1mercio internazionale quando era affidato a Emma Bonino: c'erano più duttilità e velocità di risposta alle esigenze dei mercati» dice il responsabile del tavolo casa-arredo, Roberto Snaidero. «Un ministero potrebbe essere la formula giusta per rispondere al problema più grande: la solitudine delle piccole imprese che non riescono a essere presenti sui mercati internazionali» osserva il responsabile del tavolo dell'abbigliamento, Maurizio Marinella. «La prima esigenza è che ci sia qualcuno in grado di coordinare le diverse iniziative» aggiunge il rappresentante del tavolo dell'agroalimentare, Michele Bauli.

Nel documento che tutti insieme hanno presentato al governo alla fine della convention la parola «ministero» non compare mai. Ma le loro richieste, dall'armonizzazione fra le iniziative dello Stato e degli enti locali al monitoraggio più attento delle grandi opportunità di business, sembrano muoversi proprio in quella direzione.

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