Progresso di ritorno

Quasi comico, o forse malinconico. Fino a ieri, la donazione spaventava, perché si temeva che dopo la pecora Dolly e i suoi replicanti dovesse necessariamente arrivare la volta dell'uomo. L'idea che l'uomo potesse essere clonato atterrì. Ci si figurò una scienza votata al relativismo e allo scientismo, indotta a portare all'estremo una tecnica quantomeno controversa. Si aprì la cataratta degli incubi, in prima linea quello della possibile produzione di uomini artificiali iperselezionati, perfetti, biondi e intelligentissimi come gli ariani programmati da Hitler. A poco valsero i distinguo, gli inviti a considerare per intanto i vantaggi offerti da una tecnologia che apriva la possibilità di allevare pecore e bestiame di altissima qualità, purosangue imbattibili, galline ovarole da primato, squisite trote da allevamento, eccetera. Del resto, nel settore agroalimentare, gli Ogm non stanno dando risultati invidiabili? Nei supermarket americani non si vendono già da tempo grano e mais grandi il doppio, robusti, esenti da germi e patologie? Di quelle aspettative non si sa più molto. La povera Dolly fu sempre in preda a debilitanti malattie. Sembra che in qualche macelleria o spaccio europeo si venda carne di bestiame clonato forse argentino. Poco altro: gli stessi prodotti agricoli Ogm non paiono rispondere alle attese, l'agricoltura biologica va fortissimo. Ma adesso arriva una serie di notizie che fanno prevedere un futuro ricco di promesse ma ancor più ambiguo dell'attesa scatenata da Dolly. In Argentina è nata una mucca clonata per produrre latte umano. E non si tratta di una speculazione commerciale. Il successo è arriso ai ricercatori del serissimo National Institute of Agrobusiness Technology in collaborazione con l'Università di San Martin, i quali sono riusciti a inserire nel Dna di una mucca due geni di proteine umane. Da questa tecnologia è nata la eccezionale mucca. Data la sua parentela con l'uomo, le è stato dato anche un nome, Rosita Isa. Ma a che scopo è stata fabbricata? "Il nostro obiettivo - ha detto uno dei ricercatori - era di aumentare il valore nutrizionale del latte di mucca con l'aggiunta di geni umani capaci di controllare due proteine che hanno attività antibatterica e antivirale e rafforzano il sistema immunitario". Insomma, la mucca produrrà latte quasi umano, ma migliore di quello umano. Rosita Isa non è la sola mucca a vantare questa peculiarità. L'originalità della scoperta è stata subito rivendicata da una équipe di veterinari, questa volta cinesi.
A differenza dei ricercatori argentini, i loro esperimenti hanno preso in considerazione un solo gene umano, quello del lisozima; sono così nate diciassette mucche capaci di produrre latte arricchito, tipo quello della mucca argentina. Ma trecento mucche geneticamente modificate, sempre clonate da cinesi, sono già da tempo in grado di fornire un latte con forti proprietà ant-infettive e con una percentuale di grassi più alta che in quello della donna. Pare che possa rappresentare una valida alternativa sia al latte materno che a quello artificiale. Non abbiamo nessun dubbio in proposito, solo ci chiediamo anche noi se questi esperimenti non siano destinati a sollevare questioni e interrogativi meritevoli di attenzione. Ieri si temeva per l'uomo, passibile di essere clonato come una qualunque pecora, oggi potremmo ipotizzare un animale clonato per divenire più simile all'uomo.
Dopo il latte umanizzato potremmo immaginare, perversamente, uno scimpanzé dotato di qualche Dna umano afferente alla sfera dell'intelligenza: saremmo finalmente agli androidi immaginati da scrittori non solo di fantascienza, a partire da Villiers de l'IsleAdam, l'autore di "Eva futura" (1886) credo la prima donna artificiale - o dal nostro insospettabile Ippolito Nievo, In tutte queste ipotesi, in questi esperimenti, la chiave sottintesa è quella del miglioramento non solo delle condizioni di vita dell'uomo, ma dell'uomo in sé. È l'obiettivo finale, non sempre consapevole, di quel che si chiama "progresso". Ma, al punto in cui siamo, non si potrebbe osservare che, a ogni gradino della scala di questo progresso, se da una parte si hanno vantaggi dall'altra si aprono non meno seri, contraddittori problemi? Che il progresso non è un percorso lineare, ma forse un va-e-vieni imperscrutabile nel quale il conto tra bene e male - o almeno tra benefici e guai - è sempre a saldo zero? E che forse, gira e rigira, siamo sempre fermi al punto di partenza, sempre preda, o vittime, di un groviglio di contraddizioni, su cui gli scienziati non hanno alcun dominio privilegiato? Ma così rientra in gioco l'etica... Già, appunto.
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