Il Procuratore generale interviene sulla critica condizione delle carceri italiane

La condizione carceraria è una emergenza sociale. Ma in questo momento è soltanto la magistratura a rendersene conto. L’Associazione nazionale magistrati del Veneto avvisa che diversi uffici giudiziari hanno cercato di dare una risposta con gli “strumenti normativi e regolamentari disponibili”. Vale a dire, che alcuni procuratori hanno invitato a una maggiore attenzione nell’emanazione delle misure cautelari, mentre alcuni Tribunali di sorveglianza hanno intrapreso la strada della illegittimità costituzionale.
«Nei reati che non si collocano in una matrice associativa, compreso l’omicidio passionale, è veramente necessario ricorrere alla detenzione preventiva?». La domanda se la pone Pietro Calogero, Procuratore generale della Corte d’appello di Venezia. E le domande di Calogero non sono mai quesiti, ma risposte. Questa è la linea che dovranno seguire le Procura del Veneto. Perché è già arrivata la richiesta di inviare alla Procura generale un rapporto dell’attività degli ultimi tre anni sulle richieste delle misure cautelari fatte dai sostituti procuratori, quelle concesse dai giudici delle indagini preliminari, e una relazione sull’assenso del Procuratore capo sulle istanze di custodia cautelare. Per Calogero la carcerazione preventiva è l’extrema ratio, rispetto alle altre misure. Quali, gli arresti domiciliari, la presentazione all’autorità giudiziaria e l’allontanamento. «Non è sufficiente forse usare misure alternative che impediscano il continuare di un rapporto tra il carnefice e la vittima, se è ancora viva, o vittima di violenza? O tra il carnefice e i parenti della vittima in caso di omicidio?», si chiede il procuratore Generale. E ancora: «In caso di certi reati che non arrivino a creare collegamenti tra l’indagato e le altre persone, come è tipico dei reati di mafia, dico che è possibile scegliere un tipo di misura utile a creare un distacco tra chi fa e chi subisce il reato. Perchè, quindi, negare a chi si copre di certi delitti non solo la libertà di movimento, ma anche le relazioni e gli affetti?». Calogero spiega che i suoi interrogativi gli vengono posti da alcune sentenze della Corte Costituzionale. «Io me li pongo e li porrò anche ai miei colleghi», dice Calogero. Ieri mattina un gruppo di magistrati dell’Anm Veneto e i giudici del Tribunale di sorveglianza hanno fatto un’altra visita nelle carceri padovane. Poi ha avuto luogo un seminario nell’aula del Tribunale di sorveglianza, al quale ha partecipato il Procuratore generale. La sua presenza ha attirato magistrati da tutto il Veneto.
«Ci devono essere due teste pensanti perché la custodia cautelare deve essere l’extrema ratio di un Pm e di un giudice. Noi magistrati abbiamo il dovere dell’umiltà e non si è mai parlato di verificare i criteri di scelta di una misura cautelare, quasi che questo campo delicato non possa essere suscettibile di verifiche e confronti per l’elaborazione di criteri applicati per la richiesta della misura. Certe misure che durano tre mesi hanno l’odore di misure che si potevano evitare», afferma Calogero. «Ma se è necessario che la persona vada in carcere, ci deve andare anche se il carcere esplode. Ma i Pm non possono pensare a misure alternative solo se non viene concesso l’arresto. La detenzione cautelare deve arrivare dopo una lunga scrematura e dopo non aver ritenuto sufficiente nessun altro provvedimento, anche in casi di violenze o di omicidi passionali».
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