Il procuratore generale Calogero: "limitare la reclusione"

Dalla Rassegna stampa

«Limitare la custodia cautelare in carcere, che dovrebbe essere l’ultima spiaggia ma viene un po’ troppo abusata. Ricordiamo che il bene sommo di ognuno è la libertà personale». Sono parole pronunciate ieri dal procuratore generale della Corte d’Appello di Venezia, Pietro Calogero, intervenuto ad un incontro organizzato della giunta dell’Associazione nazionale magistrati del Veneto sul sovraffollamento delle carceri venete e nazionali.

L’analisi di Calogero parte da lontano. «Nessuno può essere considerato colpevole fino alla sentenza definitiva» aggiunge il procuratore generale «Tra il 41 e 42 per cento dei detenuti delle carceri italiane sono in attesa di giudizio. E questa è una grande distorsione. Ma come mai avviene questo? C’è l’inviolabilità della libertà personale. La misura cautelare in carcere deve essere applicata quando non siano possibili tutte le altre misure, è l’estrema ratio. Com’è possibile che, invece, sia costantemente il contrario? Noi magistrati abbiamo il dovere dell’umiltà. È giusto sottoporre a verifica i criteri di scelta della misura cautelare. L’idoneità alla misura deve essere valutata attentamente, lo si fa? Ogni misura che si decide dev’essere commisurata al reato commesso. Bisogna valutare attentamente tutte le misure alternative, dall’obbligo di dimora, dall’allontanamento da un luogo, al divieto di frequentare alcune persone. La Corte Costituzionale ha demolito alcune certezze. Per alcuni reati, ad esempio quelli passionali, dove la spinta omicida si esaurisce, basterebbero altre misure. Per i reati associativi, ad esempio quelli mafiosi, è giusto mandare la gente in galera. È poco usato l’obbligo di dimora, che può essere molto simile al carcere».

Per Calogero bisogna invertire il percorso: limitare l’uso del carcere e usare maggiormente il divieto di comunicare, l’obbligo di rimanere in un luogo preciso, i domiciliari. Per questo ci sarà un confronto fra tutti i pubblici ministeri, si stanno raccogliendo tutti i dati, e poi si svolgerà un seminario al quale verranno invitati anche i giudici. Si mira a cambiare l’orientamento proprio di pm e giudici. Il procuratore generale punta a far conoscere di più e a far censire le Comunità alloggio, «Se il pm sa che funzionano, può farne maggiormente ricorso, come alternativa alla reclusione». È intervenuta quindi Angela Venezia, del Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria per il Triveneto. «In Veneto ci sono 3.199 detenuti, di cui 144 sono donne. Del totale, solo 2.166 (tra questi 1.169 sono stranieri) sono condannati definitivamente e solo su di loro si svolgono attività di recupero. Il problema di oggi delle carceri è far capire che sono parte della collettività, com’è la scuola. Noi non abbiamo grande potere di rieducazione, ma possiamo provare a far cambiare il loro modo di vivere». «Il direttore Pirruccio ci ha oggi riferito che se al Due Palazzi ci fossero solo i detenuti per il quale il carcere è stato progettato, tutti lavorerebbero» ha aggiunto il giudice Marcello Bortolato, del Tribunale di sorveglianza di Venezia.

 

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