Il problema restano i numeri

Dunque, come ci informano le agenzie, il ministro della Giustizia Paola Severino è al lavoro per approntare un testo con diverse misure per contribuire a risolvere il problema del sovraffollamento nelle 206 carceri italiane. Tra le misure su cui si lavora, quella di consentire ai detenuti cui restano diciotto mesi di pena, di scontare la detenzione ai domiciliari. Inoltre si punta su progetti di pene alternative alla reclusione. Misure di cui potrebbero beneficiare circa tremila detenuti, con un risparmio per le casse dello Stato di circa trecentomila euro al giorno. Non sapremmo dire se la cifra abbia fondamento. Se lo è, è motivo di ulteriore riflessione: per ogni detenuto lo Stato spende circa cento euro al giorno e il "servizio" offerto è quello che sappiamo? Ad ogni modo: i detenuti sono circa 68mila. Con le misure annunciate si arriva a 65mila. La capienza delle nostre prigioni è di 44mila: la differenza, si chiede scusa per il conto della serva, è di 21mila. Siamo, insomma, all'aspirina.
Si continua, intanto, a morire. Gli ultimi due casi di detenuti suicidi a Busto Arsizio (con Lametia Terme, Brescia, Como, Ancona, uno dei carceri tra i più affollati), e a Civitavecchia. Uno si è impiccato, l'altro ha ingerito gas da una bomboletta usata per cucinare. Sarebbe dovuto uscire tra un mese, ma non è riuscito ad aspettare il "fine pena" e ha così deciso di farla finita. 'Amnistia!", chiedono gli stessi direttori delle carceri, che hanno inviato una lettera aperta al ministro della Giustizia Paola Severino: "La situazione ci sta sfuggendo di mano, è una polveriera, e le conseguenze possono essere le più imprevedibili". "Amnistia!" ' chiede don Virgilio Balducchi, che dal 1 gennaio prossimo ricoprirà l'incarico di Ispettore generale dei cappellani delle carceri: "L'amnistia, in questo momento, sarebbe un atto di giustizia. Ora ha un senso perché molte persone in carcere stanno subendo limitazioni dei diritti fondamentali, pensiamo alla salute, alla malattia mentale, al degrado della dignità umana. Molti diritti vengono limitati, l'amnistia sarebbe un atto di giustizia".
“Il disagio della polizia penitenziaria ha superato i limiti della tollerabilità, è molto più di un codice rosso". La denuncia viene da Giovanni Centrella, segretario generale dell'UGL. Cosa dice Centrella? "La situazione è drammatica, sia per i detenuti, che vivono in condizioni inumane, ma anche, soprattutto, per gli agenti, che non solo non riescono a svolgere il proprio lavoro ma si sentono sviliti nelle proprie funzioni. Il carcere è ancora considerato come un luogo separato dove tenere nascosti i problemi: questo è altamente deleterio, perché il carcere dev'essere visto come soluzione, non come mezzo per aggravare una situazione. Deve servire a reinserire l'individuo nella società, non a isolarlo per sempre".
E siamo qui a un punto dolente: gli agenti previsti nelle carceri italiane sono 41.377, mentre quelli in forza sono 33.632, con una carenza del 16,3 per cento. Chi parla di costruire nuove carceri dovrebbe avere la decenza di spiegare, visto che già oggi siamo a - 16,3 per cento - come si pensa di assicurare la necessaria sorveglianza. Con molto buon senso l'UGL propone, oltre che una ristrutturazione globale del sistema carcerario, di "ampliare le misure alternative alla detenzione, per i reati minori e non pericolosi a livello sociale, un nuovo modello di istituti penitenziari, l'aumento delle tecnologie sia per le videoconferenze che per il problema delle traduzioni".
Ma, come non ci si stancherà mai di dire, non esiste solo il problema delle carceri. La questione (di cui le carceri, per usare l'espressione cara a Marco Pannella, è un'appendice) è quella della giustizia. Perché la "prepotente urgenza" evocata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sono i circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Una sorta di impunità anche per reati gravi, come l'omicidio colposo. La giustizia, i magistrati, stanno soffocando sommersi dai fascicoli, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. E le cose sono destinate a peggiorare. Per reati come la corruzione o la truffa, c'è ormai la certezza dell'impunità. Nel 2008, 154.665 procedimenti archiviati per prescrizione; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Quest'anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d'appello. Intanto i reati scadono e c'è la quasi certezza di scamparla per corruzione, ricettazione, truffa, omicidio colposo. A Roma e nel Lazio, per esempio, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spegneranno senza condanna, gli autori sono destinati a farla franca. A Milano nel 2010 l'accumulo è cresciuto del 45 per cento, significa più di 800 processi l'anno che vanno a farsi benedire. Nel solo Veneto si contano 83mila pratiche abbandonate in una discarica dove marciscono tremila processi l'anno.
È un'amnistia mascherata, clandestina (perché si finge non ci sia) e di classe: perché ne beneficia solo chi ha un buon avvocato che sa come dribblare tra le leggi e i codici, o chi ha "amici". Nella rete ci finiscono così i poveri diavoli, gente che si fa difendere dall'avvocato d'ufficio, come gli extracomunitari. È giusto? Oppure, a questo punto, meglio non sarebbe fare un'amnistia alla luce del sole, con "paletti" certi, guadagnare sei-sette mesi, consentire ai magistrati di ricominciare da zero, e nel frattempo metter mano alle indispensabili riforme?
Una situazione, solo per quel che riguarda il caos regnante nella giustizia civile, che costa al contribuente - lo stima un rapporto della Banca d'Italia - qualcosa come 20 miliardi di euro l'anno. Altro che finanziaria. Per non parlare del fatto che in una situazione del genere, non c'è nessun imprenditore straniero che si azzarda a fare investimenti e "impresa" nel nostro paese.
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