PRIVILEGI Siccardi aveva ragione

Partita in sordina è diventata estremamente rumorosa la polemica lanciata dai radicali sulla necessità di tagliare i privilegi economici della Chiesa cattolica nel quadro delle misure contro la crisi. Ieri anche la segretaria della Cgil Susanna Camusso si è inserita nel coro sostenendo a gran voce la necessità di tassare tutte quelle attività che fanno capo alle organizzazioni cattoliche ma svolgono attività commerciali e non religiose. Ed, accanto a questa richiesta, è partita anche la sollecitazione al governo a rivedere o la percentuale di 8 per mille che passa alla Chiesa come forma di finanziamento pubblico delle sue attività o i costi che lo stato deve sobbarcarsi per mantenere nelle strutture pubbliche (vedi carceri, ospedali, case di cura) tanti sacerdoti e tante suore. Molti hanno voluto vedere in questa improvvisa fiammata di polemiche una sorta di ritorno di fiamma dell`anticlericalismo liberale di stampo ottocentesco. E, come ha fatto "Il Foglio", hanno sostenuto la necessità di non schierarsi ideologicamente né con Siccardi, il ministro piemontese che firmò tre leggi che smantellarono i privilegi di cui aveva goduto la Chiesa nel Regno Sardo, né con la manomorta (uno degli istituti, insieme al foro ecclesiastico) aboliti dai provvedimenti di Siccardi. Ma posta in questi termini la questione è assolutamente mal posta. Perché l`alternativa non è tra l`anticlericalismo ed il clericalismo, la persecuzione della Chiesa per scelta ideologica e la difesa ad oltranza della Chiesa per scelta religiosa. L`alternativa, molto più pragmatica, realistica, concreta, è tra eliminazione dei privilegi o conservazione dei privilegi stessi. Se si accetta questa impostazione cade automaticamente la richiesta di tassare 1`8 per mille destinato alla Chiesa cattolica o ad ad altri culti religiosi. Ma diventa addirittura scontato prendere in considerazione l`ipotesi di conservare l`esenzione dell`Ici per le attività religiose ma di cancellarla per quelle commerciali. Se la manovra deve essere equa, come giustamente viene sollecitato da tutti, l`equità deve riguardare tutti i soggetti d`imposta presenti nel paese. E contro una considerazione così banale non vale l`argomentazione tirata in ballo da "Famiglia Cristiana" secondo cui i privilegi della Chiesa bilanciano i sacrifici imposti alle famiglie e servono ad assicurare tutti quei servizi sociali che lo stato non assicura ai cittadini più deboli. Perché sostenere questa tesi significa difendere i privilegi. E chi si pone in difesa dei privilegi, qualunque sia la motivazione tirata in ballo, perde qualsiasi titolo e legittimità per criticare la manovra in nome dell`equità. E` comprensibile che "Famiglia Cristiana" da una parte ed i sostenitori acritici della Chiesa dall`altro si battano per vedere conservati i vantaggi che possono derivare alle organizzazioni ecclesiastiche dal turismo religioso o dalle attività commerciali ed imprenditoriali. Nella società aperta della democrazia liberale ogni interesse, purché non illegale, è legittimo. Ma chi difende interessi particolari fa del lobbismo. E chi fa lobbismo non può permettersi di pronunciare prediche morali. Da questo punto di vista il comportamento di "Famiglia Cristiana" è del tutto simile a quello avuto nella seconda metà dell`ottocento da "Civiltà cattolica", la rivista dei gesuiti voluta da Pio IX per combattere il liberalismo, il processo unitario italiano ed il modernismo. Quando Siccardi, con le sue tre leggi, smantellò i vecchi privilegi di estrazione feudale della Chiesa e quando Cavour completò l`opera con l`abolizione delle congregazioni religiose che detenevano giganteschi patrimoni improduttivi, "Civiltà Cattolica" insorse contro la presunta iniquità dei provvedimenti. Ma non difendeva la giustizia, difendeva i privilegi. Per questo, senza cadere nell`anticlericalismo ottocentesco, si deve concludere che allora avevano ragione Siccardi e Cavour. Ed oggi pure!
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