La privazione della libertà non è la fine di tutti i diritti...

In questi giorni il Governo sta disperatamente cercando soluzioni al sovraffollamento: un anno di tempo è quello che gli ha dato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per riportare nelle carceri la dignità e il rispetto di chi vi è detenuto, e anche di chi lavora all’interno, ma se non cambierà nulla la prospettiva è di dover pagare enormi risarcimenti per i danni prodotti da una detenzione disumana. Speriamo che almeno, se non è l’umanità, sia la paura delle somme da sborsare a far trovare al nostro Paese la strada per ridurre drasticamente il sovraffollamento e ridare un senso alle pene. A sostegno di questa speranza portiamo una sentenza della Corte costituzionale, un’ordinanza di un Magistrato di Sorveglianza di Padova, la testimonianza di un detenuto: ma l’idea di base è la stessa, che la persona detenuta resta comunque una persona, che viene privata della libertà, ma non degli altri diritti.
La Corte costituzionale “dà una mano” ai magistrati a far tornare nella legalità le carceri
“L’estensione e la portata dei diritti dei detenuti può subire restrizioni di vario genere unicamente in vista delle esigenze di sicurezza inerenti alla custodia in carcere. In assenza di tali esigenze, la limitazione acquisterebbe unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile con l’art. 27, terzo comma, Cost”. A dirlo è una nuova sentenza della Corte costituzionale che stabilisce un principio particolarmente importante per la giurisprudenza penitenziaria. L’amministrazione penitenziaria tre anni fa aveva disposto che venisse impedito ai detenuti sottoposti al regime di 41 bis di guardare alcuni canali televisivi (il regime del 41 bis prevede condizioni di detenzione molto ristrettive rispetto alla quotidianità del carcere: un colloquio al mese e una telefonata, corrispondenza censurata, un’ora d’aria e niente contatti con il resto della popolazione detenuta. Una specie di isolamento prolungato dove l’unica cosa “libera” è la televisione). Un detenuto aveva fatto reclamo al magistrato di Sorveglianza, che era intervenuto ordinando all’Amministrazione penitenziaria il ripristino della possibilità di assistere ai programmi trasmessi dalle emittenti televisive Rai Sport e Rai Storia, in quanto il relativo “oscuramento” aveva leso il diritto soggettivo all’informazione del detenuto medesimo. Ma gli effetti di questa sentenza potrebbero andare oltre la restituzione ai detenuti della possibilità di guardare alcuni programmi televisivi. L’aspetto più interessante è il riconoscimento del dovere che la direzione del carcere ha di dare esecuzione ai provvedimenti del magistrato di Sorveglianza nel suo ruolo di “tutore” dei diritti delle persone private della libertà personale.
La discussione sul potere del magistrato di Sorveglianza non è nuova e ritorna, specialmente in materia di sovraffollamento, ogni volta che un giudice riconosce una violazione ma si scontra con la direzione del carcere che prende atto, ma non rimedia alla violazione. Ecco perché, oltre alla questione del diritto all’informazione, questa sentenza scioglierà qualche nodo anche in materia di sovraffollamento. E di nodi ce ne sono tanti. Porto come esempio un caso concreto.
A Padova un detenuto ha fatto ricorso denunciando una violazione complessiva dei propri diritti in quanto condivide una cella di circa 9 mq con altri due compagni e le condizioni di sovraffollamento rendono tutti i servizi (l’area dei passeggi, i locali docce, i problemi sanitari con pochi medici in istituto, le scarse possibilità di lavorare) inadeguati per i detenuti presenti.
Il magistrato di Sorveglianza di Padova, dopo aver raccolto informazioni sulla planimetria delle celle e letto le relazioni ispettive dell’ULSS, ha fatto una visita all’istituto, ha ascoltato anche il detenuto ricorrente. Alla fine ha accertato l’esistenza di condizioni di detenzione del reclamante tali da costituire un trattamento inumano nella parte riguardante lo spazio personale vivibile, in pratica il magistrato ha detto alla direzione del carcere che ai detenuti non è garantito spazio sufficiente se vivono in tre pin una cella prevista per uno. Quindi ha chiesto l’adozione urgente di misure per rimediare a questa violazione, specificando che al detenuto dovrebbe essere garantito uno spazio minimo individuale pari o superiore a 3 mq.
Cosa farà ora la direzione del carcere? La Corte costituzionale ha appena affermato il dovere del direttore di attuare il provvedimento del magistrato. È vero che un conto è dire al direttore di lasciare i detenuti guardare qualche canale televisivo in più, e un altro è fargli togliere le brande aggiunte da qualche anno in quasi tutte le celle. Ma la Corte ha affermato un giusto principio e quello va applicato.
Certo che mai come questa volta il detto “esagerare, ma con equilibrio” ha avuto senso: se non “esageravano” nel voler togliere anche la televisione ai detenuti sottoposti al regime duro del 41 bis, non ci sarebbe stata questa sentenza che potrebbe restituire molto di più ai detenuti. E potrebbe anche mettere ulteriormente alle strette il governo italiano che deve dimostrare alla Corte europea di aver preso misure concrete per rimediare al sovraffollamento carcerario. Altrimenti rischia di vedersi piombare addosso una cascata di condanne che per il momento sono state solo congelate.
Elton Kalica
Se calpestano i miei diritti, come io ho calpestato quelli degli altri, qual è la differenza fra me e loro?
È impressionante come il carcere possa cambiare una persona, e troppo spesso non in una persona migliore, ma peggiore di quanto può essere già di suo l’essere umano.
Quello che più mi ferisce, guardandomi attorno, è la presenza di molti giovani. Osservandoli so già definire il loro futuro, conosco questi posti e vedo quello che possono produrre. A volte mi chiedo se non siano proprio le istituzioni a volerci far diventare quello che siamo, per poter mandar avanti un loro perverso piano. Ovviamente non è così, però è vero che si parla tanto del reinserimento dei giovani nella società, ma non si riesce a proporre qualcosa di concreto. Possiamo fare tante discussioni, confrontarci su questi temi con le persone competenti, direttori, educatori, psicologi, magistrati, ma il problema rischia di incrementarsi sempre di più per le condizioni di sovraffollamento. Io stesso sono stato un diciottenne carcerato e mi sono imbattuto in questa realtà. Da allora ad oggi (19 anni) le cose sono peggiorate. Cosa succede a un giovane quando entra in carcere? Una volta fatta la visita medica di primo ingresso, in cui la domanda primaria è se ha bisogno di farmaci per dormire, si fa un colloquio con l’educatrice e uno con lo psicologo, e poi spesso, per mancanza di personale e di opportunità per tutti, si viene abbandonati al proprio destino. Capisco il sovraffollamento, le difficoltà economiche per poter integrare altro personale, i pesanti tagli che ogni anno vengono fatti alle risorse disponibili nonostante la gente sia sempre di più, ma non giustifico il menefreghismo in particolare nei confronti dei giovani che dovrebbero essere aiutati a tornare a diventare parte integrante nella società. Il futuro del paese sono i giovani, questa frase si sente dire dai politici solo per opportunismo, e invece spesso si tagliano fuori ragazzi che potrebbero essere recuperati e credere in un futuro migliore.
Nella mia esperienza, ho girato parecchi carceri e il problema l’ho sempre trovato, anche se in alcune carceri forse viene affrontato in maniera più responsabile, si cerca di avere un contatto più frequente tra operatori e detenuti, si dà più spazio per quanto riguarda il lavoro e i corsi in cui un giovane può scoprire passioni o imparare un mestiere. Sono stato nel carcere di Torino, all’interno c’è una comunità, Arcobaleno, dove si prova a fare qualcosa di diverso soprattutto per i tossicodipendenti, con persone competenti, dunque in grado di ascoltare i problemi che inducono un ragazzo a drogarsi e commettere reati. Finito il programma, ti aiutano a proseguire al di fuori un percorso lavorativo attraverso una misura alternativa.
Da pochi mesi mi trovo nel carcere di Padova, e faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti. All’interno del carcere c’è la possibilità di frequentare scuole medie, superiori, polo universitario e vari corsi, o di lavorare nei laboratori interni, ma voglio ricordare che queste belle opportunità non sono per tutti. Penso ai miei compagni che questa possibilità di fare un percorso di cambiamento non l’avranno mai. Nelle sezioni vedo giornalmente gli sguardi di uomini vagare nello sconforto, lamentarsi della mancanza di educatori, di un sostegno da parte di psicologi e molto altro, ma sempre tra di noi, perché protestare, anche se con una forma pacifica, comporterebbe farsi mettere l’etichetta del rompiscatole e non riuscire ad ottenere il riconoscimento dei propri diritti.
In una società, civile come la nostra, questi diritti non dovrebbero essere calpestati, perché se no dov’è la civiltà? Abbiamo commesso degli errori e per quanto mi riguarda ho anche persistito nel commetterli, ma se la società attraverso le sue istituzioni si comporta come mi sono comportato io, calpestando i miei diritti come io ho calpestato quelli degli altri, qual è la differenza fra me e loro? Paghiamo i nostri errori e dobbiamo accettarlo con responsabilità, ma non siamo uno scarto di una società che vuole apparire civile.
Lorenzo Sciacca
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