Privatizzare in Italia gli asset degli enti locali

«L'intervento svolto da Mario Draghi a luglio a Londra ha determinato una reazione positiva che ha invertito una tendenza che sembrava consolidata: gli spread sono diminuiti e i corsi di borsa dei titoli bancari sono cresciuti. Tutto ciò riflette il comportamento dei leader politici europei e l'impegno da essi preso a muovere passi verso una progressiva ed effettiva integrazione.
La mancata comprensione dei punti di forza dell'Europa, se non addirittura la loro sottovalutazione, nelle capitali finanziarie extra europee è risultata fino a oggi fin troppo evidente: l'Eurozona, nel suo complesso, si colloca al primo posto per Pil e nessun operatore economico può più permettersi oggi di ignorare il primo mercato al mondo.
Confrontando i fondamentali dell'Eurozona, e dell'Italia, con quelli di Usa e Giappone, si evince che l'Eurozona, come il nostro Paese, possiedono basi solide e significativamente migliori. L'Europa può contare su una popolazione e una forza lavoro dotati di ottimo livello culturale ed elevata professionalità. Il nostro continente vanta prestigiosi marchi industriali internazionali di successo a livello mondiale: è evidente che, alla luce delle catene del valore integrate su scala mondiale, l'Europa non rappresenta solo la migliore economia del mondo, ma in un senso o nell'altro influenza le sorti economiche del pianeta.
Media e addetti ai lavori, purtroppo, quando si riferiscono alla periferia dell'Eurozona, spesso fanno di tutta l'erba un fascio. In realtà i profili dei singoli paesi sono assai diversi così come le loro prospettive. Le differenze dei principali indicatori macroeconomici e del tessuto industriale di ogni singolo Paese non possono più essere considerate allo stesso modo; se economie come Grecia e Spagna, ad esempio, dipendono da un unico settore - ovvero, rispettivamente turismo e immobiliare -, l'Italia al contrario presenta una diversificazione della struttura produttiva e un tasso di concorrenza paragonabile soltanto a quella dell'economia tedesca. La solidità del nostro settore creditizio, l'assenza di punti di contatto con il debito sovrano di altri Paesi periferici della Ue, il tasso di disoccupazione in linea con la media europea, la prudente gestione finanziaria rispetto ad altri Paesi "core" dell'Eurozona, fanno dell'Italia un Paese che deve essere valutato sulla base di differenze che risultano evidenti.
I Paesi europei debbono comunque continuare con la politica del rigore fiscale, pena lo sfaldamento dei conti pubblici. A questo punto ritengo coerente e assai utile passare ad utilizzare il termine di "responsabilità fiscale" al posto di "austerità fiscale". È inoltre necessario proseguire lungo la strada delle riforme strutturali, che non potranno essere timide, con l'obiettivo di stimolare la crescita e la creazione di posti di lavoro. In Italia, dopo la riforma pensionistica che rappresenta un modello per l'Europa intera, va a mio avviso attuato un programma di privatizzazioni di asset di Enti Locali al fine di recuperare risorse, efficienza e al contempo eliminare tentazioni in grado di alimentare inevitabilmente la corruzione.
Dobbiamo inoltre riconoscere grande apprezzamento per quegli strumenti e quegli interventi messi in atto dalla Bce per consentire agli Stati dell'Eurozona di diminuire la pressione esercitata sui debiti pubblici. E in questo contesto è opportuno che la Spagna si faccia carico di richiedere l'intervento del fondo salva-Stati.
Compito fondamentale è quello di contrastare con forza la disoccupazione giovanile: per fare ciò occorre facilitare la mobilità del lavoro su scala europea, rendendo obbligatoria l'adozione dell'inglese come seconda lingua.
Esiste ormai un generale consenso fra i leader europei sul percorso da intraprendere per uscire dalla crisi; soltanto il "come" e la "velocità" del processo di cambiamento rimangono ancora argomento di riflessioni politiche e tecniche.
In tal senso, occorre imprimere un'accelerazione al processo di integrazione europea a livello bancario, fiscale, economico e politico. Abbiamo bisogno di visioni lungimiranti e forte capacità di leadership, tralasciando le logiche di breve periodo che spesso affliggono la dialettica politica. Oggi non possiamo che fare nostra la citazione di Alcide De Gasperi tanto cara al premier Mario Monti, rimarcando la differenza profonda che esiste tra lo statista e il politico: "Lo statista pensa alle prossime generazioni, il politico alle prossime elezioni". Questi sono tempi in cui servirebbero statisti.
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