Polizia penitenziaria, ma sono angeli

Dalla Rassegna stampa

Fare di necessità virtù. Affinare l'udito, ad esempio, per riconoscere il rumore sordo di uno sgabello che si rovescia o di un tavolo che cade: «L'annuncio di una vita che se ne sta andando». C'è un dato di cui non si parla a sufficienza, osserva Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari: nel primo semestre del 2011 sono stati monitorati nelle carceri italiane 532 tentativi di suicidio, di questi circa 300 sono stati sventati in extremis, «parliamo cioè di persone con il cappio già al collo, le vene tagliate o con in testa il sacchetto pieno di gas». A scongiurare queste centinaia di morti è stato l'intervento tempestivo del personale di polizia penitenziaria. Di uomini e donne che, per 1200 euro al mese, sono spesso costretti a trasformarsi in angeli. Angeli in divisa. E all'occorrenza anche in psicologi, o educatori, visto che gli operatori penitenziari sono ormai una specie in via d'estinzione. «Siamo un po' tutto - spiega Sarno - ma soprattutto siamo soli di fronte al detenuto. Ed è chiaro che in galera, dove si è privati perfino dello spazio per respirare e in cella bisogna fare i turni pure per stare in posizione verticale, ogni disagio è amplificato. Anche una lampadina che non si accende in bagno diventa un problema, che l'agente di sezione deve saper gestire».

Sono molti i compiti che, nel carcere ai tempi dell'emergenza, il poliziotto penitenziario è chiamato ad assolvere al di là di quelli previsti dall'ordinamento «e di cui non si parla perché in molti non sanno cosa accade in quelle che io definisco le prime linee penitenziarie». Il gergo militare è quasi d'obbligo laddove si combatte una guerra quotidiana per non soccombere all'inciviltà, alla disumanità e all'illegalità, nonostante la riforma del corpo di polizia penitenziaria, varata nel 1990, ne abbia disposto la smilitarizzazione. Da allora gli agenti sono stati formalmente inseriti tra gli operatori che partecipano alle attività di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti. Il sottodimensionamento della pianta organica rende però questo contributo quasi impossibile: dieci anni fa si contavano circa 43800 reclusi per un organico di polizia penitenziaria pari a 43500 unità, nel tempo l'equilibrio è totalmente saltato e oggi, nel 2011, a far fronte a una popolazione detenuta di oltre 67 mila unità ci sono appena 38 mila agenti. «In questi dieci anni non solo i detenuti sono aumentati del 50 per cento - precisa ma sono anche stati aperti diversi istituti senza che si provvedesse all'assunzione di una, dico una, unità di polizia penitenziaria». Come può un agente concorrere al processo di risocializzazione e rieducazione del detenuto quando da solo ha la responsabilità di sorvegliare un'intera sezione con non meno di cento detenuti? «E evidente che mancano i presupposti e che oggi l'agente penitenziario è meramente destinato, per quello che può, alla sorveglianza». «A nessuno di noi hanno insegnato ad ascoltare i rumori che preannunciano un gesto estremo, senza considerare che una vena, una carotide recisa o una testa infilata in un sacchetto non fanno rumore. Sono solo l'intuito, la professionalità e lo spirito di osservazione a consentirci di individuare i soggetti borderline, sul filo della depressione e a rischio suicidio. E di salvare delle vite».

L'ultima legge finanziaria prevede l'assunzione di 1600 agenti di polizia penitenziaria, ma spiega Sarno, ne servirebbero almeno 8 mila per garantire livelli minimi di sicurezza. Il che significa che attualmente all'interno delle nostre carceri si corrono rischi altissimi. «Il fatto che non ci siano rivolte, che sostanzialmente riusciamo a garantire i servizi, forse in un certo senso maschera la situazione reale, che è di gran lunga peggiore di quanto si possa immaginare da fuori». Il sistema tiene grazie al senso di responsabilità dei detenuti, i quali sanno che ricorrere alla violenza renderebbe solo le cose più difficili, ma anche dei poliziotti, dei direttori e del personale amministrativo. «A causare la paralisi basterebbe che osservassimo i regolamenti alla lettera». Sono invece le piccole deroghe quotidiane a consentire di tenere in moto la macchina penitenziaria , nonostante il sovraffollamento, la mancanza di risorse e personale, e la giungla burocratica che connota ogni apparato statale. Un esempio? «Oggi, per autorizzare il colloquio di detenuto con i propri familiari, gli agenti preposti al rilascio dei permessi si limitano a verificare la sussistenza dei requisiti, rimandando a fine giornata la firma materiale da parte del dirigente penitenziario. Questo accorcia i tempi. Per regolamento, infatti, ogni colloquio andrebbe autorizzato singolarmente dal direttore, ma con ritmi invece di cento collo- qui in una giornata, se ne potrebbero fare al massimo 25».

«Più che di nuove carceri, c'è bisogno di un carcere nuovo, un modo diverso di gestire il sistema». Come quasi tutti coloro che conoscono l'universo carcerario dall'interno Eugenio Sarno è critico nei confronti del piano messo a punto dal governo. «Prima che vengano costruiti i nuovi istituti c'è il rischio che le vecchie ci crollino addosso. Ci sono problemi strutturali che potrebbero mettere a rischio l'incolumità dei detenuti e del personale». I dirigenti - spiega - non hanno più soldi per pagare acqua, luce e gas. E nemmeno la benzina, che spesso finisce lasciando a piedi agenti e detenuti durante i trasferimenti. «In quei casi il personale di polizia, che già non percepisce gli emolumenti per le missioni, ha dovuto fare il pieno per garantire ai detenuti di essere presenti nelle aule di giustizia». Ma non è tutto: l'80 per del parco macchine destinato al servizio traduzione e piantonamento ha una percorrenza chilometrica media superiore ai 350 mila chilometri e il 25-30 per cento dell'intero autoparco nazionale è fermo perché mancano i soldi per le riparazioni. «Diciamo che l'80 per cento delle macchine della polizia penitenziaria se fossero in uso a privati cittadini sarebbero oggetto di fermo giudiziario perché non in condizioni di circolare». Negli ultimi mesi due automezzi della polizia penitenziaria sono andati fuori strada, causando dei feriti, per l'usura delle gomme o dell'impianto frenante.

«Dobbiamo forse aspettare il morto?», chiede. «Stiamo valutando di segnalare queste cose alle procure della Repubblica, ma siamo anche consapevoli che un eventuale fermo dei nostri mezzi impedirebbe lo svolgersi dei processi e dei trasferimenti». La mancanza di risorse economiche è tra gli aspetti più tragici e allarmanti della crisi del pianeta carcere. Basti pensare che i detenuti avranno garantiti tre pasti al giorno solo fino alla fine di settembre, dopodiché saranno forse costretti a fare lo sciopero della fame. Si prevede infatti che per allora saranno finiti anche i soldi per il vitto dei reclusi, per cui lo stato spende ben 3,68 euro al giorno procapite.

«Se fosse vero, come diceva qualcuno molto più autorevole di me, che il grado di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri, l'Italia in fatto di civiltà sarebbe proprio messa male», denuncia Eugenio Sarno. «In questi trent'anni di esperienza come poliziotto e come sindacalista ho visto scemare notevolmente l'attenzione verso il mondo penitenziario, ma i cittadini devono sapere, le coscienze vanno alimentate. Mi piacerebbe - conclude che quest'anno i mass media esplorassero un po' più a fondo alcune tematiche sociali, tra cui il carcere, invece di interessarsi al colore del bikini di Belèn Rodriguez».

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