Poche certezze e molte incognite

Dalla Rassegna stampa

 Vademecum delle poche certezze e delle molte incognite della sommossa popolare in Egitto.
 
1 È finito il regno trentennale del Faraone Hosni Mubarak, 82 anni, vecchio e malato, gia Maresciallo dell’Aria dell’Aviazione. Chiede solo un’uscita onorevole, e di poter morire nella sua terra. La piazza propende però per una cacciata senza compromessi.
2 Non è finito, non ancora, il suo sistema di potere. Omar Suleiman, 74 anni, il vicepresidente che ha nominato per dialogare con l’opposizione, capo dei servizi segreti, è il suo uomo più fedele, una volta gli salvò la vita sventando un attentato. È anche il fine tessitore dei rapporti diplomatici più delicati con Stati Uniti, Israele e le componenti palestinesi, Hamas compresa. Anche il nuovo primo ministro Ahmed Shafik, proviene dalle Forze Armate.
 
3 L’esercito in Egitto è lo Stato. Ed è per questo che si è mosso su un doppio binario. Ha riconosciuto le ragioni della protesta ma non ha scaricato il rais che è una sua espressione. Non ha sparato sulla folla ma ha piazzato i carrarmati nei punti strategici e steso il filo spinato a protezione dei palazzi del potere. Un modo per garantire non solo l’ordine, ma la sopravvivenza della nazione stessa.
 
4 L’opposizione non ha ancora un leader credibile. Non può esserlo il premio Nobel per la pace Mohammed El Baradei, 68 anni, una vita passata all’estero e pochi agganci nella società civile. Si aspetta che dalla piazza Tahrir emerga qualcuno col bastone di maresciallo nello zaino.
 
5 L’unico movimento organizzato è quello dei Fratelli Musulmani. Nella sua accezione più benevola una sorta di Democrazia cristiana del mondo arabo, in quella più malevola una fucina di fondamentalisti. Nella pratica ha svolto un ruolo attivo anche durante il regno di Mubarak, organizzando una rete di welfare, dalla sanità all’istruzione, che gli vale il consenso della popolazione soprattutto fuori dai centri urbani. I suoi capi, in questi giorni, usano toni moderati per non spaventare l’Occidente, dicono di non volere un emirato islamico. Il modello sarebbe l’Akp turco, il partito del premier Erdogan, peraltro militante in gioventù in un gruppo legato alla Fratellanza. Ma non bisogna dimenticare che dal movimento sono usciti il numero due di Al Qaeda Al-Zawahiri e soprattutto l’ideologo Sayyid Qutb, autore dei testi ispirativi di ogni radicalismo islamista, impiccato nel ‘66. Quale delle anime prevarrà è una domanda che ora non ha risposta.
6 La Tunisia, l’Egitto e non solo. Lo yemenita Ali Abdullah Saleh ha detto che non estenderà il suo mandato e non cederà il potere al figlio. l’Algeria di Bouteflika è scossa dalle proteste. Il re Abdullah di Giordania ha dovuto sostituire il premier Samir Rifai con l’ex generale Marouf Bakhit. Il premier palestinese Salam Fayyad ha promesso elezioni locali a un popolo inquieto. Le piazze, connesse dalla Rete, chiedono pane, lavoro e democrazia. Ma in piazza c’è anche chi ha altre tentazioni. Attenti all’eterogenesi dei fini.
7 Il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini ha dimostrato la sua inadeguatezza. Ancora il 26 gennaio invitava Mubarak a continuare. Incalzato da Emma Bonino sulla necessità di cambiare linea con un altro dittatore, il libico Gheddafi, ha risposto che i veri leader sanno trarre le lezioni dagli eventi. Come dire: Gheddafi è un leader, l’asse con lui non si tocca. Sono i ministri a volte che non traggono lezioni dagli eventi.

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