"Perché chi prova l’esperienza del carcere non fa di tutto... per non tornarci dentro?"

Dalla Rassegna stampa

Chi sconta la pena in modo inutile, torna quasi inevitabilmente a commettere reati, perché una persona che ha provato l’esperienza del carcere non ne ha paura, e non fa di tutto per restarne lontana, una volta uscita? È questa la domanda che gli studenti pongono più spesso ai detenuti, quando li incontrano nell’ambito del progetto di confronto fra le scuole e il carcere. Non esiste una risposta facile, ma dalle testimonianze di un detenuto e di una detenuta che riportiamo, forse alcune riflessioni più profonde sulla recidiva si possono fare: quello che è importante capire è che c’è un modo di scontare la pena che incattivisce e fa sentire vittima, e invece la detenzione deve avere un senso, ed essere percorso di rieducazione.

La recidiva e il recupero

Non ho ricette per la recidiva, ma qualcosa ho capito Non è facile capire le ragioni che riportano in carcere ex detenuti e riflettere su quello che potrebbe impedire la recidiva. In condizioni normali, il recupero di chi ha commesso un reato dovrebbe avvenire attraverso tre linee principali: lavoro, scuola e religione.
O almeno così dice l’Ordinamento Penitenziario, io come detenuto mi sono fatto la domanda: cosa mi servirebbe davvero per non rischiare di ritornare di nuovo in carcere? La Religione? La religione è importante in carcere, ma la fede, che è una strada per trovare la tranquillità interiore, non credo che potrà aiutarmi a inserirmi nella società dopo tanti anni d’interruzione della mia vita sociale, e ad affrontare i problemi quotidiani fuori dal carcere.
La Scuola? La scuola mi serve per accrescere la mia cultura, è importante perché è un posto dove mi posso confrontare con persone esterne all’istituto e capire quello che si fa fuori, ma con la crisi che c’è, e iniziando gli studi a un’età in cui uno dovrebbe averli finiti da tempo e dovendo
aggiungere al curriculum la qualifica di “ex detenuto”, ho qualche dubbio che questo mi aiuterebbe a trovare lavoro fuori. Il Lavoro? Il lavoro (se ci fosse) serve a non umiliarmi per un po’ di tabacco o una sigaretta, è molto importante per aiutare la mia famiglia, ed è conveniente perché ti permette di avere qualche euro a fine pena.
Ma oggi su 67.000 detenuti, fanno un lavoro “vero” meno di 900. E dopo vari anni di galera non ho ancora capito il valore rieducativo che ci può essere solo nel lavare il pavimento o avvitare bulloni tutto il giorno all’interno del carcere.
Oltretutto gli ultimi tempi qui dentro incontri sempre più spesso persone che fino al momento del reato avevano lavorato onestamente, e quindi ti rendi conto che non basta il lavoro per essere rieducati. Negli incontri che si fanno con gli studenti ho visto delle persone detenute riflettere sulle loro azioni, ammettere che avevano sbagliato, senza ottenere nessun beneficio ma solo per onestà di fronte alle domande innocenti dei ragazzi.
Oggi si fanno tante ipotesi su come si può ridurre la recidiva, io non so quale sia quella giusta, ma so cosa mi sarebbe stato utile e avrebbe impedito a me di essere oggi quotarmi capire, durante la mia prima carcerazione, che non ero in carcere solo perché avevo infranto la legge, ma che con le mie azioni avevo fatto male a delle persone.
E poi mi sarebbe stato utile non essere buttato in cella a non far niente, con l’ordine “rieducati”, perché dentro di me, a fine pena, so che sarebbe rimasta solo la convinzione che non dovevo più niente a nessuno, anzi avevo pagato più del dovuto.
Ma farmi confrontare con chi aveva subito un reato, commesso da me o da qualche altro mio compagno, perché le sofferenze di cinque anni di galera sono state niente in confronto a quello che ho provato in due ore di colloquio con le vittime dei reati. E nell’ultimo periodo della pena avrei dovuto essere inserito in una misura alternativa svolgendo anche dei lavori sociali, che mi aiutassero a darmi un’alternativa alla vita di prima. E invece non avrei dovuto essere messo fuori all’ultimo giorno con l’invito a non tornare, perché sono tornato dai vecchi amici.
In carcere siamo dei delinquenti, ma siamo anche delle persone, delle persone tante volte poco responsabili, e molto egoiste, perché quando rubiamo una macchina vediamo il modello ma mai il proprietario, vedere il proprietario e i sacrifici che ha dovuto sostenere per comprare quella macchina forse ci insegnerebbe a non rubare. Oggi sono qui ma se al mio primo arresto qualcuno mi avesse fatto vedere l’altra parte, quella che subisce il male che facciamo noi, se mi avesse imposto un confronto vero con la società, e con le vittime, avrebbe risparmiato tante sofferenze a chi ha subito le mie azioni, e a me avrebbe risparmiato tanti anni di carcere.

Clirim Bitri

La solitudine in cella fa riflettere

Tanta gente trascorre la sua esistenza come se la vita si svolgesse in un teatro. Da bravi attori si passa da una parte all’altra, si indossano le varie maschere, si studiano gli schemi e ci si adegua al copione. Il copione per chi sta in carcere si “intitola” ordinamento penitenziario e prevede che il ruolo da interpretare sia quello del bravo detenuto.
È veramente stupefacente vedere come persone che fuori vivevano senza regole e senza punti di riferimento, intrappolate da quattro sporche mura riescano a travestirsi da bravi soldatini scrupolosi nell’attenersi alle regole, sempre pronti a mettersi sull’attenti e a prostrarsi alla sola vista di chi ha del potere. In tanti anni di carcere ne ho vista troppa di gente così e ho visto anche come il fine pena coincide per loro con il crollo del palco.
Ci si lascia quella porta alle spalle e si ritorna ad essere quello che si era con qualche nozione e contatto in più da sfruttare per affinare le proprie inclinazioni delinquenziali. A cosa serve allora la galera in Italia? Se si guarda quanto è alta la recidiva, viene da dire che davvero serva a poco, il senso di inutilità è forte. lo non sono un’attrice e non mi piacciono i copioni, spesso non so adeguarmi alle regole che non siano quelle non scritte che hanno un senso e fin da piccola ho sempre rispettato. Posso anche essere una brava persona, ma non diventerò mai una brava detenuta. La galera mi ha nutrita di odio e frustrazione, in bocca sento il sapore del fiele e nello stomaco, per tutta la rabbia che provo, mi sembra che viva un’ aquila sempre pronta ad aggrapparsi alle mie budella con i suoi artigli.
A differenza di quando avevo vent’anni le bombe cerco di farle implodere, ma inevitabilmente prima o poi una finisce per scoppiarmi in mano, e però chi si fa male sono sempre e solo io. Per commiserarmi posso anche considerarmi una vittima del sistema, ma se parlo onestamente devo ammettere che sono la peggior nemica di me stessa in questo contesto, perché non so abbassare la testa, mi piace dire e fare sempre quello che la mia testa mi dice perché così mi sento vera, cammino a testa alta e se non piaccio non m’importa. Sono io la persona sbagliata o c’è qualcosa di profondamente sbagliato anche nel sistema giudiziario italiano?
Io ho 35 anni, sono cittadina italiana tossicodipendente, ho un bambino piccolo che a causa dei miei errori e iter burocratici lentissimi non vedo da anni... l’ho lasciato che era un pulcino e le foto di adesso lo ritraggono come un ometto. Mia mamma vive da sola, è anziana e ogni volta che ho la fortuna di vederla e sentirla non smette mai di ricordarmi di quanto avrebbe bisogno di me. Invece di sentir parlare di misure alternative alla detenzione e di depenalizzazioni, per affrontare il problema del sovraffollamento che riduce la maggior parte delle carceri in condizioni disumane, sento parlare di inasprimento delle pene.
Non ho parole, ma solo rabbia. Rabbia verso me stessa che ho scelto una via sbagliata, rabbia verso le istituzioni che spesso sono sorde e cieche. Un delinquente rimarrà sempre un delinquente se a nessuno interessa vedere la persona che nasconde, se i doveri vengono sempre prima dei diritti. Invece di nuove carceri dovrebbero costruire monumenti alla dignità umana che niente e nessuno ha il diritto di calpestare. Da un seme di rispetto della dignità può nascere un fiore, la rabbia invece genera solo violenza.

Tania

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