Parma: corteo contro il carcere duro... detenuti trattati come animali

Dalla Rassegna stampa

A Parma manifestazione nazionale che si oppone al regime 41 bis, organizzato dall’assemblea “Uniti contro la repressione”. Circa 300 persone sono partite da barriera Repubblica e arrivate fino al penitenziario di via Burla. Nessun incidente. Accuse di “militarizzazione”, tensione con i giornalisti.
Si è concluso davanti alla recinzione del carcere di via Burla, il corteo contro il regime carcerario duro previsto dall’articolo 41 bis, organizzato dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”, che ha tenuto in ostaggio Parma per tutta la giornata di sabato. La manifestazione, a cui hanno partecipato circa 300 persone, si è svolta sotto la pioggia in un clima surreale, con le strade della città deserte, le serrande abbassate, persino i cestini della spazzatura rimossi. L’imponente schieramento delle forze dell’ordine ha evitato incidenti e disordini. Gli unici danni sono stati alcuni muri imbrattati sulla facciata della banca Barclays in via Emilia Est e della chiesa di vico Po.
Dalle 8 di mattina il centro è stato blindato. Il corteo doveva partire intorno alle 14 da barriera Repubblica ma l’afflusso dei manifestanti è stato inferiore a quello previsto, probabilmente anche a causa del maltempo, e gli organizzatori per iniziare la protesta hanno atteso fino alle 16, quando si erano radunati qualche centinaio di persone, molto meno del migliaio annunciato.
Trecento gli uomini delle forze dell’ordine - tra polizia, carabinieri e guardia di finanza - impegnati a evitare disordini. Per l’occasione sono arrivati anche l’elicottero della questura e gli artificieri. Il corteo si è svolto senza incidenti, a parte qualche momento di tensione con i giornalisti, che sono stati intimati a non scattare fotografie: “Amici degli sbirri, non avvicinatevi, state coi poliziotti”, hanno gridato i manifestanti. Gli agenti sono riusciti poi a riportare la calma ma hanno consigliato a fotografi, cameramen e reporter di mantenere una distanza di sicurezza.
Prima della partenza gli organizzatori hanno protestato per la “militirazzazione” del corteo: “Ci chiediamo il perché. Questa protesta - accusano - è stata dipinta come se Parma dovesse essere devastata. Siamo trattati come criminali. Non si vuole che si sappia che nel carcere di Parma i detenuti vengono trattati come animali”. Accuse al comandante della guardie carcerarie Zaccariello per la sua severità. “Non si deve sapere, si preferisce dire: arrivano i criminali.
I criminali sono quelli che hanno costruito il carcere di Parma. Chi è davvero colluso con la mafia non lo vedremo mai nel 41 bis. La nostra è una critica contro il sistema carcerario”. Affondo anche sul Movimento 5 stelle: “Non saranno i Grillo e i Pizzarotti a cambiare le cose. Guardate come questa città è militarizzata. È questa la nuova politica?”.
Una volta raggiunto il penitenziario, i manifestanti, sempre tenendo a distanza la stampa, hanno dato vita a una sorta di sit-in davanti alla recinzione. Musica, petardi, persino fuochi di artificio, si sono alternati a slogan come “Liberateli” e alla lettura di alcune lettere di detenuti dai carceri di tutt’Italia, per denunciare le difficili condizioni di vita dei carcerati.
Alla fine della manifestazione Francesco, un attivista parmigiano, ha rilasciato alcune dichiarazioni, precisando che la protesta non è a favore dei boss mafiosi come Bernardo Provenzano, detenuto proprio nella struttura di Parma. “Ci preme sottolineare che il 41 bis si estende anche a detenuti che hanno commesso reati più lievi. Le condizioni del carcere di Parma sono inaccettabili, il 41 bis è giudicato una tortura da Amnesty International.
La pena dovrebbe riabilitare come previsto dalla Costituzione”. E i membri della criminalità organizzata? “La mafia esiste perché lo Stato l’ha foraggiata fino a oggi. Noi difendiamo persone con pene pesantissime per le loro lotte sociali. Non voglio più gente come Provenzano, ma non voglio nemmeno il carcere”.
Durante il corteo si sono registrati anche slogan a favore di Marco Mezzasalma, anche lui in carcere a Parma, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Massimo D’Antona: “Sono persone - commenta Francesco - che pagano per quello che hanno fatto, ma non li si può trattare come mostri”.

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