Padova: detenuto rinuncia alla cella più grande pur di non perdere il suo posto da bibliotecario

Nessuno ci avrebbe creduto, eppure è successo: la giustizia si è umanizzata. La storia del detenuto Stefano Carnoli merita di essere raccontata. Pur di non perdere il suo posto da bibliotecario ufficiale del carcere di Padova, Carnoli ha infatti chiesto di tornare nelle ristrettezze delle celle del “Due Palazzi”.
L’inizio della vicenda risale a poco tempo fa quando Carnoli vince un ricorso per aver denunciato, come tanti altri detenuti, la condizione poco umana della sua cella (in tre i meno di tre metri quadri). Senza essere interpellato Carnoli viene trasferito nel carcere di Cremona dove avrebbe avuto più spazio, perdendo però il lavoro che da tre anni lo vedeva al centro di un percorso rieducativo eccellente. Indignati dal fatto che una persona possa essere trattata come un pacco la cooperativa “AltraCittà” e la redazione di “Ristretti Orizzonti” tentano in tutti modi di riportarlo a Padova, iniziando una battaglia definita dalla maggioranza “contro i mulini a vento” e dalla minoranza di idealisti “unica e necessaria”.
Il finale questa volta premia i sognatori gettando una luce di speranza nell’intero sistema giudiziario, ma andiamo per ordine. Il fatto che il bibliotecario Stefano di 47 anni, in carcere da 5 e con la prospettiva di uscire tra altri 4, abbia deciso di rinunciare a uno spazio fisico umano pur di continuare il suo percorso educativo fa pensare, soprattutto in questi giorni quando il caldo insopportabile trasforma le carceri un vero inferno.
E soprattutto sapendo che, all’inizio dell’estate, il Carnoli aveva vinto il ricorso. Il trasferimento a Cremona, eseguito con la giustificazione di portarlo in una cella più grande, era suonato a tutti come una punizione.
“La prima cosa che abbiamo fatto” racconta Rossella Favero presidente di “AltraCittà” è stata cercare di capire da dove provenisse questa decisione. Il direttore del carcere di Padova, Salvatore Pirruccio, non ne sapeva nulla e si è dimostrato anche lui molto rammaricato, ma la decisione sembrava irrevocabile. Alla fine si è capito che avevano deciso a Roma. A quel punto abbiamo iniziato a volere chiarezza, nonostante tutti ci dicessero che era una battaglia persa in partenza. Ma se non si lotta per cause in apparenza perse che battaglie sono?”.
La mobilitazione corale (associazioni, volontari, bibliotecari) affinché Stefano torni “a casa” si fa sentire raggiungendo i giornali locali da “Il Mattino” (22 luglio) alle testate nazionali come “Il Foglio (Adriano Sofri, 18 luglio) e “La Repubblica” (Corrado Augias, 23 luglio).
Negli articoli si sottolinea la faticosa conquista di un lavoro in carcere e il fatto che l’Italia a gennaio 2013 sia stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per “trattamento inumano e degradante nelle carceri”.
La Corte dà tempo un anno per mettersi al passo con le direttive europee, pena salatissime multe all’Italia e risarcimenti a tutti i detenuti che denunciano la loro situazione. “L’esperienza di Stefano” continua Ornella Favero di “Ristretti Orizzonti” fa capire che bisogna evitare che avvengano i trasferimenti in questo modo perché trasformano la persona in una merce che viene sballottata”. Insomma, la richiesta di spiegazioni arriva perfino alla ministra Anna Maria Cancellieri che, in risposta ad Augias il 24 luglio, afferma che “avendo fatto ricorso per il sovraffollamento, doverosamente è stato predisposto il suo trasferimento”.
//
SU