Ogni società ha la prigione che si merita

Dalla Rassegna stampa

Pubblichiamo brani dell’introduzione del libro "Viaggio nelle carceri" che esce in questi giorni, edito da Eir in collaborazione con i Giovani democratici (pp.109, euro 14). Gli autori sono Davide La Cara e Antonio Castorina. Il libro contiene, tra gli altri, scritti di Laura Coccia, Roberto Giochetti, Rita Bernardini e un’intervista a esclusiva a Raffaele Sollecito

Siamo partiti da una riflessione principale, il punto saldo è l’articolo 27 della Costituzione italiana: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». L’Italia, solo recentemente e su continui richiami da parte del presidente Napoletano, ha preso seriamente in considerazione il problema del sovraffollamento carcerario. Il presidente della Repubblica, garante della Costituzione che all’art. 27, appunto, prevede un trattamento carcerario umano e rispettoso dei diritti fondamentali, in un messaggio inviato il 7 giugno 2013 al capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per la ricorrenza del 196° anniversario della fondazione della Polizia penitenziaria, ha auspicato «che il Parlamento e il Governo assumano rapide decisioni che conducano a dei primi risultati concreti».

Non può essere perseguita la sola via dell’edilizia penitenziaria costruendo altre strutture di detenzione, ma necessita del supporto normativo di tipo sostanziale, processuale e penitenziario. Il sovraffollamento delle carceri non è solo un problema di risorse, ma mette in gioco la credibilità democratica del nostro paese. La magistratura di Strasburgo fa espresso riferimento al sovraffollamento e ai disagi che ne derivano, definendoli problema strutturale e sistemico. A fronte di una capienza complessiva di 48.309 unità, le carceri italiane ospitano a oggi 60.197 detenuti. In quasi tutti i penitenziari italiani si assiste a scene degradanti, con fino a 8 persone stipate in celle ideate per quattro o addirittura due. Le condizioni disumane hanno portato a varie sanzioni economiche da parte della Corte europea, non ultima la sentenza Torreggiani «che ha giudicato le condizioni dei detenuti una violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante».

La Comunità europea ha stabilito che un maiale destinato al macello deve avere almeno 6 mq per muoversi. In Italia accade anche che i detenuti ne abbiamo meno di 3. Ogni detenuto, in queste condizioni, costa ai contribuenti 3500 euro al mese. Una bella somma in tempi di spending review, in cui si tende a ottimizzare la spesa pubblica tagliando un’importante quota delle strutture organizzative, con costi altissimi per i cittadini. La Corte europea dei diritti dell’uomo con la pronuncia del 27 maggio scorso, ha rigettato il ricorso dell’Italia avverso la sentenza emessa 1’8 gennaio dai giudici di Strasburgo, divenuta oggi definitiva, che condannava il sistema penitenziario nazionale per trattamento inumano e degradante inflitto agli ospiti delle strutture carcerarie. La Corte suprema dei diritti dell’uomo ha dichiarato incompatibile l’attuale situazione carceraria italiana con l’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (proibizione della tortura e di trattamenti inumani o degradanti). Aspetti sottovalutati in Italia sono la malignità e ferocia prodotte dai media nella società nei confronti dei colpevoli o presunti tali. Una buona descrizione di questo processo può essere trovata nel libro Ogni società ha il carcere che si merita (AaVv), prodotto nella sezione di Alta sicurezza della struttura carceraria di Vibo Valentia

L’INIZIO DELLA PENA
Ogni pena intesa come limitazione dei diritti personali comincia con l’avvio di due operazioni parallele; le iscrizioni nel registro degli indagati e la relativa notizia data dai mass media. Due eventi che inaugurano l’avvio di due processi paralleli, uno che si svolge nelle aule giudiziarie; l’altro nella piazza mediatica. L’esecuzione della pena comincia da questo momento e si protrae per tempi lunghissimi. A prescindere dall’esito del verdetto emesso in sede giudiziaria, chi rimane impigliato nelle maglie dell’apparato giudiziario paga un prezzo troppo alto che non può trovare riparo né attraverso il risarcimento del danno per ingiusta detenzione o per le lungaggini procedurali. Facendo riferimento a Sorvegliare e Punire, testo di Michel Foucault che descrive l’umiliazione pubblica di un tale Damiens a cui si sommava la pena carceraria, nel libro ci si domanda: «La sofferenza fisica, il dolore del corpo non sono più elementi costituiti dalla pena. Se non è più al corpo che si rivolge la pena nelle sue forme più severe, su che cosa stabilisce allora la sua presa? Non è più il corpo è l’anima. Alla espiazione che strazia il corpo deve succedere un castigo che agisca in profondità del cuore, il pensiero, la volontà, la disponibilità una volta per tutte. Alla morte fisica è sostituita la morte civile». Il sociologo americano Gresham Sykes descrive il contenuto della pena carceraria ricercando gli aspetti dolorosi della stessa che indica in cinque generi di sofferenza: «Il primo genere di sofferenza riguarda la privazione stessa della libertà che si traduce, immediatamente, nel confinare l’agire di una persona all’interno del carcere. L’aspetto più doloroso è che sia perduta la libertà di intrecciare e serbare legami affettivi con familiari, parenti, amici, costituendo ciò "una dolorosa privazione o frustrazione, in termini di perdita di relazioni affettive, solitudine e noia".

Distaccarsi, entrando in carcere, dagli anziani genitori con un abbraccio straziante, perché ognuno pensa che possa essere l’ultimo, non vuol dire soltanto lasciare il proprio cuore in quei luoghi che ti hanno visto nascere e crescere ma avere la consapevolezza che quel patrimonio fatto di memoria ed ancestrale amore, quel legame con le tue radici, lo hai perso per sempre anche perché, in ogni caso, nulla tornerà come prima. Il distacco dal proprio nucleo familiare, dai figli, dalla moglie, è uno strappo doloroso, acuto per tutti soprattutto per i familiari, vittime innocenti. Non hai perso la libertà di movimento e di azione, hai perso il calore di un rapporto affettivo, il tuo privato, la personalità, la tua immagine, la giusta considerazione degli altri. Ti pervade una pesante frustrazione, ti assale la solitudine, un muto dolore, l’ansia, la rabbia».

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