Non solo marò… sono tremila gli italiani detenuti all’estero

Dalla Rassegna stampa

Si parla tanto dei due marò, detenuti di “lusso” in India, ma la realtà ci racconta altre storie. Sono quasi 3 mila gli italiani in carcere all’estero, i “prigionieri del silenzio” come li hanno definiti i familiari che si sono costituiti in associazione.
Il paese che ospita il maggior numero di ristretti italiani è la Germania, con 1400 persone in carcere, molti dei quali senza aver subito un equo processo. Casi nell’ombra, che non salgono alla ribalta mediatica e sono centinaia gli italiani che vedono calpestati all’estero i loro più elementari diritti. “Mio fratello - racconta una ragazza - è stato arrestato un anno e mezzo fa in Venezuela con 200 grammi di droga nella pancia, circa due ovuli.
È detenuto in un carcere a Caracas, dove è ormai diventato tossicodipendente. È stato condannato a 12 anni e avevamo quasi ottenuto il beneficio che consentiva il trasferimento in una clinica di recupero. Ma hanno cambiato la legge. Lo si può avere soltanto se la pena è inferiore agli otto anni”.
La disavventura è continuata quando la famiglia ha pagato 10 mila euro per un avvocato sul posto, che non solo non ha fatto nulla, ma se oggi gli si richiedono i soldi vanamente spesi, minaccia lo stesso detenuto. “
Addirittura ha avuto dei problemi, anche una famiglia che si è resa disponibile a darci una mano. Ci teniamo a dire a chiunque vada all’estero di stare molto attenti, perché quella che può sembrare una leggerezza, può trasformarsi nell’inizio di una tragedia. Spesso molte cose i nostri ragazzi non le sanno e si trovano in grossi guai”.
Ma l’inferno lo conoscono anche le famiglie, con un arresto in terra straniera ha inizio un vero e proprio calvario. Anche i familiari rischiano, uno di loro si è presentato all’imbarco per il volo di ritorno dall’India, con il visto scaduto, una disattenzione, ed è stato arrestato. Per non parlare dei costi elevatissimi dell’assistenza legale e perizie per il familiare recluso , oltre ai costi dei viaggi e dei soggiorni. Situazioni di disagio cui si aggiunge l’ansia di non poter rivedere il proprio congiunto e di saperlo lontano da casa, alcuni anche per un decennio, come Francesco Stanzione, che è stato arrestato in Grecia nel 2001 e non ha ancora fatto ritorno.
I casi noti sono la punta dell’iceberg, e un ruolo negativo è dato dall’immagine dell’Italia all’estero, che fatica, o si disinteressa, a far valere i suoi diritti. E loro? I detenuti? Certamente il carcere non è una bella vita, figurarsi poi se significa stare il cella in un mondo ancora più sconosciuto. Prigioni dove circolano tranquillamente droga e armi, dove la violenza è il vangelo. Un incubo. Ad esempio il carcere venezuelano di Los Teques, tristemente noto per le condizioni di vita inumane. Si trova a Caracas e quelli che vi hanno soggiornato o lo hanno visitato, lo definiscono un vero e proprio viaggio all’inferno.
Violenza brutale, risse per procurarsi droga e controllarne lo spaccio, un posto in cui la vita non vale niente: un miracolo uscirne vivi. Attacchi quotidiani da parte degli agenti penitenziari e dei detenuti stessi, accanimento, abusi di potere. Si ha paura ad addormentarsi, per non essere aggrediti nel sonno, servizi igienici inesistenti, così come l’assistenza medica. Cibo immangiabile. I nuovi arrivati vengono etichettati come “carne fresca” ed è facilmente immaginabile cosa possa significare: agghiacciante.
Ma così è l’India, il Brasile, gli Stati Uniti, così sono tante carceri europee, dove i nostri connazionali, che pure possono aver sbagliato, si trovano a fare i conti con difficoltà di lingua, pregiudizi razzisti, minacce ed estorsioni. E alcuni di loro, per mettere fine alle sofferenze, non trovano altro che dire basta, basta anche alla propria vita, alla propria esistenza.

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