NON SOLO ATTIVITÀ RELIGIOSE E DI CULTO. LA CHIESA RINUNCI Al VANTAGGI FISCALI

Dalla Rassegna stampa

Ai cattolici liberali risorgimentali che chiedevano alla Chiesa di rinunciare al potere temporale, Pio IX rispose sostenendo che «il principato territoriale su Roma aveva carattere sacro». Ma quell’anomalia ottocentesca sembra non essere finita a Porta Pia. Oggi, all’opinione pubblica che chiede alla Chiesa di compiere un gesto di rinunzia a qualche privilegio finanziario (magari «unilaterale», come scrive Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera di ieri), la Conferenza episcopale italiana risponde picche. E si schierano a difesa dei privilegi vaticani non soltanto ì politici cristiani come Pier Ferdinando Casini, ma anche alcuni singolari esponenti del Pd che inopinatamente denunziano l’esistenza di «un attacco strumentale alla Chiesa sul terreno dei cosiddetti privilegi fiscali».

È però dubbio che le cose stiano davvero così. La Chiesa e il Vaticano godono di un regime finanziario in forza delle norme concordatarie del 1985 e di successive leggi ordinarie che garantiscono l’esenzione dall’Ici (Imposta comunale immobili) e uno sconto sull’Ires (Imposta sul reddito delle società) per gli edifici, le strutture e altre attività che abbiano carattere «religioso». Un privilegio che si aggiunge a quel contributo dell’8 per mille dello Stato italiano che ha garantito alla Chiesa un gettito di molti miliardi l’anno, di gran lunga superiore alle stime effettuate allora dal consulente del ministro delle Finanze, professor Giulio Tremonti. C’è da augurarsi che il Vaticano non rimanga insensibile alle richieste che da più parti si levano verso la Chiesa affinché contribuisca, oltre che spiritualmente anche concretamente, ai sacrifici degli italiani.

Possono le gerarchie ecclesiastiche ragionevolmente sostenere che le esenzioni fiscali e gli altri privilegi finanziari di cui godono (che dire dello Ior?) si riferiscono ad attività «di culto» o non si tratta piuttosto di una vasta area grigia in cui i vantaggi economici finiscono per giovare ad attività volte al profitto, in concorrenza con quelle dei normali contribuenti italiani?

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