Il "no" dell'Anm all'amnistia

“Penso che l'amnistia non serva a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, fenomeno legato prevalentemente alle modifiche normative intervenute negli ultimi anni, ovvero ai cosiddetti pacchetti sicurezza. I quali hanno portato a un rilevante aumento di persone che devono transitare in carcere. L'amnistia, quindi, non servirebbe a risolvere il problema del numero dei detenuti e accentuerebbe quel sentimento di ineffettività del sistema penale, che già rappresenta un problema grave per la giustizia italiana".
Così il segretario dell'Associazione Nazionale dei Magistrati Giuseppe Cascini, che rinnova il suo NO a un provvedimento di amnistia. Cascini è persona intelligente e sicuramente informata. Dunque continua a menar il can per l'aia, e dà il suo contributo per eludere la carne della questione. Che, come non si stanca di ripetere Marco Pannella non è tanto (o solo) il sovraffollamento delle carceri, quanto la situazione di cronica, continuata e persistente illegalità dello Stato italiano: la lungaggine dei processi che ci procura condanne su condanne a livello europeo; l'impressionante quantità di processi che ogni anno vanno letteralmente al macero per prescrizione (mai una parola su questa amnistia di clandestina e di classe, vero segretario Cascini?). Rita Bernardini ha reso nota una situazione letteralmente scandalosa che si è consumata a Bologna, e che meriterebbe l'invio di ispettori da parte del ministero, e di attenzione da parte di giornalisti ed editorialisti, oltre che chiarimenti da parte dei diretti interessati: l'esistenza di un armadio "della vergogna" dove erano stati ammassati centinaia e centinaia di fascicoli, con procedimenti che poi, appunto, per via della prescrizione, sono finiti in carta straccia: chi ha deciso, con quale criterio, e perché quei fascicoli dovevano finire al macero? E solo a Bologna esiste l'armadio della "vergogna"? È questo il problema, e aggiunto a questo, l'allucinante situazione della giustizia civile. Vedremo tra qualche giorno, in occasione delle aperture degli anni giudiziari, come i procuratori descriveranno e denunceranno la situazione Cascini e la magistratura associata accettano questa amnistia di clandestina e di classe, di cui beneficia solo chi si può permettere un bravo avvocato capace di slalom tra le mille norme dei codici, oppure può contare su "buone amicizie". Ma Cascini (e la magistratura associata) di questo non si occupa. Piuttosto si preoccupa di dirci che l'amnistia "non servirebbe a risolvere il problema del numero dei detenuti e accentuerebbe quel sentimento di ineffettività del sistema penale, che già rappresenta un problema grave per la giustizia italiana".
Qui è inevitabile un inciso che però non è solo un inciso. "Accentuerebbe quel sentimento di ineffettività del sistema penale", dice Cascini; e quell'“ineffettività” dice tutto, davvero tutto. Questo tetragono e ostinato NO della magistratura associata all'amnistia come si spiega? È evidente che si vuole esercitare, continuare ad esercitare, un controllo; e ci si perdonerà il paragone che qualcuno forse troverà azzardato. Esattamente come le gerarchie vaticane dicono NO a testamento biologico, eutanasia, possibilità di poter determinare autonomamente se e come e quando una vita non merita più di essere considerata tale - ed è un NO che intende ribadire un formale controllo sulla gestione dei corpi, perché si sa benissimo che la pratica quotidiana è altra, e la si accetta purché si rispetti il comandamento del "si faccia, ma non si dica" - così nei tribunali e nelle aule di giustizia: lo sanno anche loro, i "sacerdoti del diritto", e meglio di tutti noi, che ogni giorno si consuma l'amnistia clandestina e di classe; ma a loro, ai "sacerdoti del diritto", va bene così, che sia appunto clandestina e di classe, senza regole certe, e siano loro, almeno in teoria - ma anche nella pratica, si può esser certi - a gestire questa amnistia; e per continuare a gestire questa amnistia, ecco che occorre dire NO a quella palese, chiara e con regole che si propone di cominciare a sanare una situazione che è insostenibile dal punto di vista del cittadino, ma che vede loro, "i sacerdoti del diritto", come dei dominus. E si spiega benissimo, dunque, la posizione dei Cascini e dell'ANM. Altro che “ineffettività”! Ed è di un certo significato la presa di posizione dell'arcivescovo di Firenze, monsignor Giuseppe Betori, che a quanto pare non ha avuto l'eco che avrebbe meritato. "Chi ha responsabilità nel Governo della cosa pubblica del paese deve favorire condizioni di vita più umane nelle nostre carceri", ha detto Betori, nel corso della messa celebrata nella cattedrale di Santa Maria di Fiore, ricordando la morte di un giovane detenuto che si è tolto la vita nel carcere fiorentino di Sollicciano, "la cui esistenza affidiamo alla misericordia del Padre".
"Questi giorni, così difficili e oscuri, sono stati segnati nella nostra città da una tragedia che ha ferito i nostri cuori" aveva detto Betori poco prima riferendosi proprio alla morte del giovane. Lo scorso 31 dicembre, ricorda l'Ansa, durante l'omelia per il Te Deum di ringraziamento, Betori parlando della difesa della 'dignità umana' aveva sollevato il problema del sovraffollamento delle carceri. Un problema che, di fatto, "impedisce che possano essere luogo di recupero comportando invece il venir meno di diritti inalienabili della persona e l'affermarsi di un contesto diseducativo".
Da qui la necessità "di una seria riforma del sistema penale" che "deve sanare queste situazioni che un paese civile non può ammettere". La presa di posizione di Betori la si segnala, assieme alle altre dei giorni passati, al segretario Cascini, alla magistratura associata e alla loro paventata "ineffettività". A tutti noi invece si segnala che monsignor Betori ha celebrato messa per un detenuto suicida, "la cui esistenza affidiamo alla misericordia del Padre". Quella messa, quella misericordia e quel conforto cristiano che vennero invece negati dal cardinale Camillo Ruini a Piergiorgio Welby e alla sua famiglia.
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