Nelle celle dove i ragazzi vivono di nostalgia

Al carcere «Ferrante Aporti» non è facile uscire né tanto meno entrare. Per visitare ai detenuti bisogna spogliarsi di tutto quanto permetta un contatto con l'esterno. Come succede ai ragazzi che arrivano qui dopo la condanna del tribunale. Via i telefoni cellulari, via la connessione internet, via qualsiasi oggetto «pericoloso».
Lasciato alle spalle il portoncino di ferro e superato il controllo al metal detector, si entra in una dimensione parallela: il mondo che qualche detenuto definisce «dei matti». Qui sono rinchiuse «persone sole che vivono nei loro mondi di fantasia e di nostalgia». La vita «normale» si lascia indietro, prima di ogni cancello attraversato e subito richiuso, prima di ogni gradino salito verso i piani delle celle.
Nell'istituto penale di via Berruti e Ferrero dal 2010 vengono incarcerati soltanto i ragazzi (la sezione femminile è in Toscana). Nel 2012 ne sono passati circa 150, si fermano in media un mese, poi se ne vanno: verso le comunità, o verso la strada. Sono soprattutto stranieri: qualche anno fa la maggioranza erano gli arabi, ora ci sono soprattutto senegalesi.
Dietro ai «blindi»
Oggi i detenuti sono 27, distribuiti in gruppi di due odi quattro nelle otto celle. Ogni tanto qualcuno finisce in quella di isolamento, dove ai tempi sono stati rinchiusi anche Erika e Omar, i due di Novi Ligure. Sotto i soffitti, nei corridoi, dietro ai portoncini detti «blindi» i carcerati trascorrono le ore di privacy: dalla notte alle sette e mezzo del mattino, quando squilla la sveglia, e tra mezzogiorno e l'una .e mezzo, mentre gli agenti pranzano. Anche la musica si può ascoltare solo in orari prestabiliti e la pausa sigaretta è controllata. La libertà qui è soltanto quella di coscienza, e non è poco.
Non può essere diversamente. L'istituto penitenziario è una grande casa con le inferriate, dentro cui devono convivere adolescenti di etnie diverse che hanno fallito altri percorsi. «Se serve il carcere per i minorenni? No, non serve». Si avverte rammarico e altrettanta consapevolezza nella voce di Gabriella Picco, la direttrice. «Ma non ci sono alternative - dice -. Noi cerchia- mo di organizzare attività, di far studiare chi lo vuole e di insegnare un mestiere, ma è pur sempre una realtà brutta. Relegare in un luogo chiuso un adolescente problematico è quanto di meno educativo ci sia» Soluzioni? «La prevenzione - conclude Picco -. Servono più segnalazioni da parte delle scuole e maggiori prese in carico da parte dei servizi sociali».
La solitudine
Una volta nelle celle, gli unici spiragli verso l'esterno sono una finestra con le sbarre e lo spioncino della porta blindata. Sono quelle le ore più pericolose, dove la solitudine attanaglia il cuore e la mente. È in quegli attimi che i ragazzi possono ferirsi, con una mattonella o una scheggia.
Quando la disperazione annebbia la ragione, qualsiasi oggetto può trasformarsi in un'arma per farsi male e insieme per richiamare l'attenzione. L'ultimo episodio, martedì sera. «Si tratta di un caso particolare - spiega il sostituto commissario Rocco Traili, da 12 anni al Ferrante Aporti -. Un ragazzo arabo, arrivato in Italia dopo la traversata del Mediterraneo, non è mai riuscito a mandare aiuti economici alla famiglia. Ha accumulato dentro una carica esplosiva».
Succede spesso di sera. Gli agenti lo sanno e cercano di intervenire al più presto, ma sono in tutto 43 distribuiti su più turni. Dovrebbero essercene almeno altri venti; novembre scorso i radicali hanno inviato una segnalazione in merito al ministero della Giustizia.
Come se non bastasse, c'è un solo medico a disposizione per tutti i detenuti. E anche l'infermeria è sotto pressione. In un anno si sono avuti circa 50 episodi di ragazzi che hanno tentato di ferirsi. Nessun suicidio, per fortuna. «Per noi anche un piccolo gesto è sintomo di una criticità e ci mette in allarme - spiega il comandante -. Ci vuole un attimo perché si trasformi in qualcosa di più grave». Per questo motivo si cerca di lasciarli soli il meno possibile. E qui parte il lato «buono» del carcere, fatto di ore di lezione al mattino e di laboratori al pomeriggio. Un mondo, dove i ragazzi possono assaggiare quella normalità che fuori hanno rifiutato o non hanno trovato.
La nuova sede
«Entro marzo aprirà la nuova sede - annuncia Antonio Pappalardo, dirigente del centro giustizia minorile - sedici stanze e uno spazio centrale per le attività». E i muri scrostati e incolori saranno solo un ricordo opaco.
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