Nella nebbia a luci spente

Dalla Rassegna stampa

Chi ha spento la luce in fondo al tunnel? Forse la Germania? La Spagna? Oppure la Grecia? Se si escludono gli speculatori senza nome, resta solo l'America. In realtà, il colpevole poco importa: con i mercati al buio, il nuovo rialzo dei tassi e il crollo delle Borse rischiano di pagarlo non solo le vittime ma anche i colpevoli.

Ora, con i tassi italiani ben oltre il 5% e quelli spagnoli che fanno capolino oltre il 6%, la luce in fondo al tunnel non la vede più nessuno. L'incertezza è tanto alta che neppure l'ottimismo espresso appena due giorni fa dal governatore della Bce sulle prospettive dell'eurozona sembra essere in grado di fermare la caduta di aspettative sulla capacità di gestire la crisi tanto da parte della leadership europea quanto di quella americana.
La luce, per i mercati, sembra insomma averla spenta proprio chi l'ha accesa. Del resto, come dargli torto? Se cominciamo dall'America, la decisione della Fed di avviare l'ennesimo programma di acquisto di bond immobiliari garantiti ha fatto per ora solo danni: da un lato, nessuno ritiene seriamente che continuando a foraggiare le banche di denaro fresco scambiato con debito morente si possa rimettere in moto quel gigante addormentato che è l'economia americana.

Anzi, ancor prima di cominciare, il cosiddetto allentamento quantitativo ha già provocato più danni che benefici: l'aspettativa di un'ulteriore caduta dei tassi di interesse americani ha infatti spinto il mercato a cercare rendimenti più alti in altre classi di attività più rischiose, con il risultato di un balzo estemporaneo delle Borse e di una caduta effimera dei rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi più esposti alla crisi come Italia e Spagna. Rendimenti che erano già in caduta per effetto della mossa di Draghi sul riacquisto dei Bond: contando sulla sponda politica di una leadership europea che si dichiarava compatta nel voler salvare l'euro, la Spagna, l'Italia, la Grecia e così via, il governatore della Bce annunciò il 6 settembre scorso un piano di acquisto di debito dei paesi in crisi che in poche settimane ha fatto cadere di oltre due punti percentuali (200 punti base) al 5,6% i titoli di Stato spagnoli che solo il 25 luglio avevano raggiunto il record del 7,75%. Lo stesso vale per i BTp, che dopo il picco del 6,71% raggiunto a fine luglio, hanno toccato la scorsa settimana il minimo del 4,9%: ieri sono tornati al 5,2%, mentre quelli spagnoli sono volati al 6%.

Insomma, quando la settimana scorsa è stato chiaro a tutti che i tassi italiani e spagnoli erano scesi a livelli fin troppo distanti dal rischio assunto dagli operatori, il mercato ha tirato con decisione il freno: i bund tedeschi a 10 anni, che il 23 luglio (cioè tre giorni prima che Draghi dichiarasse la volontà di «fare tutto il possibile» per salvare Italia e Spagna) erano scesi fino al record dell'1,127%, per poi risalire fino all'1,73% il 17 settembre (cioè dopo l'annuncio della Fed e della manovra salva-spread della Bce), sono tornati ieri all'1,46%, segno evidente di una caduta nella propensione al rischio degli investitori.

Questa dinamica ha fatto capire a molti che guardare solo allo spread è del tutto insignificante: se i tassi tedeschi salgono, come è avvenuto nelle ultime settimane per i Bund decennali, ma lo spread su Bonos e BTp non si muove dall'attuale fascia di oscillazione dei 350-400 punti, i tassi dei paesi periferici salgono proporzionalmente a quelli della Germania, tornando così su livelli insostenibili per i loro governi. Oggi, con il buio che regna su ciò che farà la Spagna in tema di aiuti, con i dubbi crescenti sulle reali condizioni dell'Italia, e soprattutto con le dichiarazioni di aperta ostilità a Draghi e alle manovre della Bce diffuse dal governatore della Bundesbank e dai ministri delle finanze tedesco, olandese e finlandese, la situazione si sta avvitando ulteriormente. E a farne le spese, una volta tanto, rischia di essere anche chi non vuol pagare la bolletta della luce in fondo al tunnel, cioè la Germania.
Il fatto che l'asta dei Bund decennali sia ieri tecnicamente fallita, con 3,9 miliardi di euro di debito collocato a fronte di un'offerta di 5 miliardi, associata a una forte impennata del prezzo del contratto Bund a brevissimo termine (scadenza a dicembre), significa che il mercato non solo è stanco di accettare rendimenti prossimi allo zero, ma anche che non intende scommettere senza un congruo premio sugli effetti di lungo periodo della sindrome bipolare che sembra affligere la nazione: un giorno Berlino dichiara di voler salvare l'Europa, l'altro fà di tutto per ostacolare i progressi e bloccare le iniziative salva-stati della Bce.

Non è un caso, in questo senso, se il flop dell'asta Bund abbia fatto seguito all'irresponsabile presa di posizione della Bundesbank e dei ministri delle finanze sul riacquisto di bond da parte della Bce. In questo senso, una medaglia all'irresponsabilità bisognerebbe darla proprio al Governatore della Bundesbank Jens Weidman, che in un attacco di evidente bipolarismo è arrivato a dichiarare al quotidiano Die Welt che «i tassi al 7% non hanno mai provocato la fine del mondo» e che «l'eurozona non morirà di certo se alcuni governi sono costretti a pagare tassi così alti».
Certo, la decisione degli investitori di tenere alti i tassi italiani e spagnoli non può essere addossata solo alla Germania. L'economia americana è ferma, quella europea stenta, la crisi economica in Spagna, Italia e Grecia è peggiore del previsto e lo scenario geopolitico mondiale non è rassicurante: sul mercato, crescono i timori di un'escalation delle tensioni tra Cina e Giappone, con gravi ripercussioni sul commercio mondiale.

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