Napolitano facci morire

Quota cento è stata superata. Quota cento morti in carcere solo dal primo gennaio scorso. È un parziale da record e se l'andamento dovesse confermarsi così drammatico anche per i prossimi mesi, questo 2011 potrebbe rivelarsi l'anno più nero delle prigioni italiane. Dietro le sbarre dunque si continua a morire, di malattie, abbandono ed esasperazione. I suicidi sono già più di trenta. Del resto in carcere ci si toglie la vita circa 20 volte in più che fuori. Se infatti uccidersi non è facile, vivere nelle patrie galere è ancora più difficile, spiega Carmelo Musumeci, detenuto da oltre vent'anni e attualmente al carcere di Spoleto, dove continua a scontare la sua pena senza fine di ergastolano ostativo. Carmelo non aveva in tasca altro che la licenza elementare, quando si sono aperte per lui le porte carcere, e due mesi fa ha festeggiato la laurea magistrale in diritto penitenziario. Da fuorilegge a dottore in legge, senza metter piede fuori dalla cella. Appena undici ore di permesso - di libertà anche dalla scorta - gli sono state concesse dal Tribunale di Sorveglianza in occasione del gran giorno, per discutere la tesi e brindare insieme a chi l'ha sostenuto. Un permesso di necessità riconosciuto solo in caso di eventi gravi o lieti, ma irripetibili. Che però non cambia di una virgola la durezza di un regime detentivo dal quale i benefici penitenziari sono espulsi. Un regime contro cui Carmelo Musumeci si batte dall'interno, invocandone l'abolizione con le uniche armi di cui dispone: la carta e la penna. E al quale ha perfino dedicato la propria tesi di laurea, dal titolo "La pena di morte viva: ergastolo ostativo e profili di costituzionalità". Pochi giorni fa Musumeci ha ricevuto la visita della deputata radicale Rita Bernardini e di Irene Testa, segreteria de "Il Detenuto ignoto", entrambe in sciopero della fame dal 6 giugno scorso affinché si ponga fine all'illegalità delle carceri italiane. E in quell'occasione ha voluto affidare alla parlamentare - firmataria di una proposta di legge per l'abrogazione dell'ergastolo - una lettera da consegnare al Presidente Napolitano firmata dagli ergastolani in lotta per la vita del carcere di Spoleto. «Signor Presidente della Repubblica - ha scritto - noi "uomini ombra" non possiamo avere un futuro migliore, perché non abbiamo più nessun futuro. E per lo Stato non esistiamo, siamo come dei morti. Eppure a volte, quando ci dimentichiamo di essere delle belve, ci sentiamo ancora vivi. E questo è il dolore più grande per degli uomini condannati a essere morti. A che serve essere vivi se non abbiamo nessuna possibilità di vivere? Se non sappiamo quando finisce la nostra pena? Se siamo destinati a essere colpevoli e cattivi per sempre? Molti di noi si sono già uccisi da soli, altri non ci riescono, ci aiuti a farlo Lei. Come abbiamo fatto anni fa, Le chiediamo di nuovo di tramutare la pena dell'ergastolo in pena di morte».
Un appello drammatico, sconveniente, ma davanti al quale non si può restare indifferenti. Un cittadino che invoca la morte come via di fuga segna sempre una sconfitta, per un Paese e per le sue istituzioni. Anche se si tratta di un "uomo ombra".
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