Mostre, spettacoli, sit-in, per rilanciare una sfida di civiltà

Ottocentoquaranta necrologi di persone morte in carcere dal 2002 ad oggi letti al centro di piazza Navona. Questa l'iniziativa che i Radicali Italiani hanno messo in campo ieri mattina in una delle principali piazze capitoline, in occasione della giornata internazionale dell'Onu contro la tortura. È andata così in scena la «tragedia di centinaia di detenuti defunti dietro le sbarre per suicidio, malattia o cause ancora da accertare». Circa 200 persone vestite di bianco, sotto una forca allestita per l'occasione, hanno letto a turno il necrologio degli 840 morti nelle carceri italiane dal 2002, con nome e cognome e relativo istituto penitenziario. Tra i partecipanti la deputata radicale Rita Bernardini che ha parlato della «tortura quotidiana a cui sono sottoposte centinaia e centinaia di persone in carcere». Abbiamo cercato con questa iniziativa ha spiegato Irene Testa, coordinatrice del Gruppo carceri dei radicali italiani - di dare un nome e un volto a quello che finora erano solo numeri. Sollecitiamo le istituzioni a prendere provvedimenti urgenti di fronte a quella che è una vera e propria emergenza»...
«La tortura è un brutale tentativo di distruggere il senso di dignità di una persona e il senso del valore umano». È il messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione della Giornata internazionale dell'Onu contro la tortura.
La tortura, afferma ancora Ban, «agisce anche come arma di guerra spargendo terrore, al di là delle sue vittime dirette, alle comunità e alle società. In occasione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura, onoriamo gli uomini e le donne che hanno sofferto, subendo il loro calvario con coraggio e forza interiore e piangiamo anche coloro che non sono sopravvissuti». Gli Stati, conclude il numero uno del Palazzo di Vetro, «devono adottare efficaci misure legislative, amministrative, giudiziarie o altre ancora per prevenire atti di tortura in qualsiasi territorio sotto la loro giurisdizione. Non c'è nessuna circostanza eccezionale e gli "obblighi" degli Stati comprendono anche il dovere di fornire un efficace e tempestivo risarcimento e riabilitazione per tutte le vittime della tortura».
La denuncia di Amnesty Un reato che punisce un «fatto grave» come la tortura nell'ordinamento giuridico italiano ancora non c'è, rimarca Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International. «Prevedere questo reato significa prevenire e poter punire quei comportamenti dei pubblici ufficiali che rientrerebbero nel suo ambito di applicazione. In sua assenza, invece - precisa Noury - si applicano le norme su reati meno gravi, con pene più lievi, che possono andare prescritti com'è successo nel processo di Genova sui fatti del G8». «Nel maggio del 2010 - ricorda Noury - di fronte alla Commissione Onu dei diritti umani, in occasione dell'esame periodico universale, l'Italia disse che non voleva istituire il reato di tortura perché erano applicabili le norme che disciplinavano altri reati». Oltre alla lacuna normativa che disciplini il reato di tortura, in Italia, conclude il portavoce di Amnesty International manca un «meccanismo di monitoraggio indipendente che vigili su cosa accade nei luoghi di detenzione, come le carceri, i centri per i migranti e le stazioni di polizia».
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