Misure bis? Rispuntano i tre tabù

Dalla Rassegna stampa

Se ne parla già da settimane ma la giornata di ieri ha messo una pressione in più a quelle voci. Di una nuova manovra che aggredisca il debito e che - forse- debba anche ritoccare i conti per compensare il rallentamento della crescita se ne discute nelle stanze dell'Economia e pure nelle riunioni ristrette tra Pdl e Lega ma i fatti di ieri spingono verso un'accelerazione. Innanzitutto l'Unione europea nel rapporto 2o11 sulle finanze pubbliche ha detto esplicitamente all'Italia di «tenersi pronta a ulteriori misure, se necessarie», poi quello spread tra Bund e Btp ancora da record (a 384), infine gli interessi dei Bot a un anno che hanno sfondato il 4%, senza contare il solito segno meno di Piazza Affari. «Mi pare proprio si vada verso quella direzione», dice sconsolato un big della Lega mettendo in fila quei numeri di ieri. Dunque, a questo scenario si sta preparando la maggioranza. In pochi parlano ad alta voce, tra questi Massimo Corsaro, mentre ci si comincia a posizionare sui tre interventi più probabili: patrimoniale, pensioni, condono.

Partiamo dalla misura più scabrosa. Rispunta il condono, un grande classico del centrodestra berlusconiano. Aveva già fatto la sua entrata da un ingresso di servizio proprio in quest'ultima manovra ma è stato ricacciato fuori per la ragione principale di non essere una misura strutturale. A congegnare la proposta era stato da un lato Maurizio Leo - sostenuto da Gianni Alemanno - prevedendo il ricorso a un concordato di massa dall'altro Antonio Mazzocchi (Pdl) e Amedeo Laboccetta (Pdl) avevano infilato un condono classico. Non se ne fece nulla. Ora lo ripropone - per ridurre il debito-Massimo Corsaro e chissà chi lo seguirà.

Il quadro invece diventa estremamente trasversale quando si parla di patrimoniale. Una parola poco magica che ha suscitato anche ripensamenti, come nel caso del Pd bersaniano che a febbraio bocciò la proposta di Veltroni-Ichino-Rossi-Morando ma che ora ha progettato una sua patrimoniale. «La nostra non è una tantum ma un'imposta ordinaria e progressiva (dallo o,5% allo o,8%) sui grandi patrimoni immobiliari a partire da 1,2 milioni», spiega Stefano Fassina che ci tiene a chiarire che per loro «la proposta Profumo non esiste». Insomma, una breccia la patrimoniale se l'è trovata anche nei vertici Pd mentre viene promossa da Sel di Nichi Vendola. Senza citare Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo che quest'inverno l'avevano autorevolmente sostenuta prendendosi critiche ma anche un seguito illustre: da Carlo De Benedetti a Luca di Montezemolo e Alessandro Profumo. Fuori, il dibattito è simile: Warren Buffet la propone negli Usa e alcuni imprenditori francesi la lanciano su Le Nouvel Observateur.

È di sinistra ma anche di centro. Nell'Udc, per esempio, la giudicano «ingiusta ma necessaria», come dice Mauro Libè deputato di Parma molto vicino a Casini. Più complicato è trovare sostenitori in casa Pdl giacché anche nella Lega il «sì» alla super-tassa sui ricchi è stata subito una bandiera da imbracciare. «Mai la patrimoniale, piuttosto mi dimetto», la frase è del premier però qualche crepa nel Pdl c'è. A parte il «no» dei liberisti, Guido Crosetto ha già parlato di una «patrimoniale della solidarietà» e lo ha fatto anche Gianni Alemanno tornando alle sue radici di destra sociale.

Sulle pensioni il terreno è più scivoloso. Perché il Pd ha «una disponibilità a discutere di allungamento dell'età ma non per fare cassa bensì per riformare il welfare», come spiega Fassina, ma l'arcipelago è variegato: si va dalle battaglie radicali pro-riforma che hanno visto in prima linea Emma Bonino (anche per l'equiparazione delle regole per le donne) all'area di sinistra, vicina alla Cgil-Fiom, che è sul «no». Enrico Letta immagina un sistema «flessibile, sul tipo della Dini, che incentivi l'allungamento dell'età» ma rimane indietro rispetto all'Udc di Casini. Nonostante molte sintonie politiche, sulla previdenza i centristi sono più netti: «Bisogna portare l'età di pensionamento alla media europea di 65 anni in gran fretta», dice Libè. Più di destra meno di sinistra ma sicuramente la riforma non è "padana". Il fatto è che né Berlusconi né Alfano hanno la forza di imporla a Bossi. Ma forse ci riuscirà un'altra giornata come ieri.

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