Milano: dal carcere alla strada, “l’invisibile” senza una vita che è diventato assassino

Dalla Rassegna stampa

Prima della notte dell’orrore, prima che i suoi demoni partorissero l’idea di massacrare ogni passante che gli capitasse a tiro, Adam Kabobo era un fantasma. Non solo a Niguarda, dove nessuno, nella mattina del risveglio terrorizzato e nel pomeriggio di ritrovata apparente normalità, giura di averlo mai visto chiedere un euro, o un panino al bar. Ma in tutta Milano.
Dove, se non fosse stato per lo zelo di un maresciallo di pattuglia, nessuno lo avrebbe mai censito. Non i servizi sociali, un pronto soccorso, un’associazione di assistenza ai migranti. E anche quell’unico passaggio censito è fuori fuoco, fuori logica se si prende a metro quella del poi, come ogni pezzo di questo incubo.
Sera del 15 aprile 2013, Adam Kabobo passeggia lungo viale Monza. Si ferma, indugia sull’uscio di una farmacia, il militare di pattuglia si ferma a osservarlo. Per i manuali di chi lavora in strada è un potenziale assalitore, un controllo preventivo può chiarire ogni dubbio: il carabiniere si avvicina e chiede i documenti, il 31enne immigrato ghanese non fiata ma esibisce il suo ricorso contro il rigetto dell’istanza di asilo politico, il pezzo di carta che gli garantisce la sua permanenza in Italia finché un tribunale non chiarirà la sua vicenda.
Siamo lontani quattro chilometri da Niguarda, significa poco e niente. Prima, e anche dopo, Adam è un atomo di Milano. Disperato, a leggere l’unica frase abbozzata in inglese e consegnata ai carabinieri del Radiomobile che lo immobilizzano e lo arrestano alle 6.37 in via Racconigi: “Ho fame, non ho casa”.
Nessuno lo sentirà più, nemmeno il suo avvocato d’ufficio Matteo Parravicini. Gli unici monconi della sua traiettoria ce li consegnano gli archivi di polizia e coprono solo sette mesi, invero turbolenti, iniziati nel luglio 2011 quando compare in Puglia a richiedere asilo politico. Finisce in un centro di accoglienza, il “Cara” di Bari Palese, oltre mille anime stipate in capanne prefabbricate e costruite per 850. Non è un “Cie” ma la disperazione monta lo stesso e il primo agosto 2011, quando scoppia la rivolta, Adam ci finisce in mezzo.
I migranti occupano la tangenziale, bloccano la ferrovia, fermano un pullman del trasporto locale, Kabobo viene arrestato insieme ad altri 28 per furto aggravato, resistenza, interruzione di pubblico servizio. Finisce in carcere a Lecce perché c’è posto solo lì per lui, si becca un’altra denuncia il primo dicembre 2011 per danneggiamento aggravato perché lo accusano di aver spaccato un televisore del penitenziario mentre la sua domanda viene bocciata.
Ma fa ricorso e nessuno, finché non verrà discusso dal tribunale, potrà bocciarlo. Quando vengono scarcerati, il 17 febbraio 2012, gli immigrati della rivolta di Palese hanno un obbligo di dimora in un altro “Cara”, a Foggia. Qui Adam si inabissa. E chissà se sa della conclusione del primo pezzo di processo per rivolta, di quelle 14 condanne con rito abbreviato a 2 e 3 anni e mezzo pronunciate il 27 febbraio 2013: ci sono Gheddafi e Osman, due dei leader, ci sono migranti di Mali, Costa d’Avorio, Bangladesh, Pakistan.
Lui no, attende con gli altri il pronunciamento della prima sezione penale del tribunale, dove da qualche parte s’è perso il suo ricorso. Kabobo è con ogni probabilità già a Milano, risalito non si sa come, a cercarsi da mangiare in periferia. L’italiano non l’ha imparato, un lavoro nemmeno, a 31 anni è un nessuno alla fame. E senza casa. Problemi che decide di affrontare con una spranga e un piccone in mano, per vendicarsi alla cieca.

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