Medici, scoppia il caso del codice deontologico

Il nuovo codice deontologico dei medici smantella di fatto l’impianto della legge 40 sulla fecondazione assistita, scarica sui camici bianchi le responsabilità in caso di cure alternative e li sprona a rispettare il testamento biologico. Ce n’è abbastanza, secondo i medici che siedono in Parlamento, per scatenare una rivolta. Sulla base di un teorema: il medico non è un impiegato, un passacarte o un robot, ma ha una libertà e una coscienza. La posta in gioco, avvertono i ribelli, è alta. Perché si rischia di trasformare il rapporto tra dottore e paziente «in una prestazione di tipo contrattualistico». Così i deputati in disaccordo hanno prodotto un proprio manifesto, una sorta di «controcodice», che è stato firmato da Scelta civica, Udc, Pdl, Movimento italiani all’estero ed è in attesa del via libera di Pd e Movimento cinque stelle. In prima linea c’è il deputato napoletano Raffaele Calabrò.
Procreazione assistita
Il codice del 2006, ancora in vigore, vieta con chiarezza ai medici di attuare «forme di maternità surrogata, forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili, pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce, forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner». Nella contestata bozza tali paletti spariscono anche se c’è il richiamo «alle modalità previste dall’ordinamento vigente».
Stop a terapie alternative
Il medico è tenuto a seguire le linee guida diagnostico-terapeutiche prodotte e accreditate da «fonti autorevoli e indipendenti». Se non lo fa deve motivare le sue scelte. Ecco un altro punto contestato dai deputati, secondo i quali con questa norma si presta il fianco a possibili sanzioni nei confronti dei camici bianchi che propongano cure alternative.
Testamento biologico
Se esiste una dichiarazione anticipata di trattamento - «espressa in forma scritta, sottoscritta e datata da persona capace» - il medico deve «tenerne conto». A prescindere, quindi, dalle sue valutazioni, dall’autonomia e dall’indipendenza che invece nel codice del 2006 vengono rimarcate in modo incisivo. Non viene sciolto, tuttavia, il nodo dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali: sono terapie o rappresentano un sostegno vitale? La questione è ancora tutta aperta.
Diatribe linguistiche
All’articolo 17 scompare dal titolo la parola «eutanasia», sostituita dalla perifrasi «trattamenti finalizzati a provocare la morte», ma la sostanza resta la stessa: il medico non può determinare la morte del paziente. Gli onorevoli, però, non hanno dubbi: «Si tratta di un’operazione di maquillage linguistico per eliminare una dicitura scomoda». All’articolo 22, relativo all’aborto, l’espressione «obiezione di coscienza» viene sostituita con la perifrasi «convincimenti etici e tecnico-scientifici». Anche in questo caso la sostanza non cambia ma per i medici parlamentari è un primo passo verso la limitazione della libertà dei dottori.
La battaglia in aula
Calabrò è categorico: «La bozza si presenta come una lunga lista di mansioni cui il medico deve adempiere, quasi che si trattasse di un dipendente di una grande azienda. Il vecchio spirito ippocratico appare sbiadito, secondario rispetto alle esigenze di "burocratizzare". Se queste sono le modifiche che s’intendono apportare, allora meglio tenersi il vecchio testo. Il codice di deontologia medica deve contenere valori e princìpi universali, riconoscibili da tutti coloro che esercitano questa professione; non può esserci spazio per ideologismi né può rappresentare il pensiero di una parte della federazione, sia pure maggioranza ai vertici». Un ragionamento condiviso da Paola Binetti (Scelta civica): «Non possiamo accettare che prevalga una logica di medicina contrattualistica. Scienza e coscienza restano le parole d’ordine della nostra professione».
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