L'insostenibile pesantezza delle norme

La gente chiede spesso se i regolatori e i legislatori hanno riparato quelle falle del sistema finanziario che hanno portato il mondo sull'orlo di una seconda Grande depressione. La risposta, in breve, è no.
Sì, le possibilità di una replica immediata della gravissima crisi finanziaria del 2008 sono fortemente ridotte dal fatto che quasi tutti gli investitori, i regolatori, i consumatori e perfino i politici ancora per un po' avranno un vivo ricordo della propria esperienza di morte finanziaria sfiorata, e questo significa che la sconsideratezza non potrà tornare subito a correre a pieno regime.
Ma per il resto è cambiato poco, nella sostanza. Le leggi e le norme introdotte sulla scia della crisi hanno avuto prevalentemente la funzione di una pezza per preservare lo status quo. Politici e regolatori non hanno né il coraggio politico né la convinzione intellettuale che servirebbe per tornare a un sistema più semplice e diretto.
Parallelamente sta crescendo in modo esponenziale la complessità legislativa. Negli Stati Uniti, la legge Glass-Steagall del 1933 era lunga appena 37 pagine e ha contribuito a produrre stabilità finanziaria per quasi settant'anni. La recente legge Dodd-Frank per la riforma del settore finanziario e la protezione dei consumatori è lunga centinaia di pagine e impone agli organismi di regolamentazione di produrre centinaia di documenti aggiuntivi che forniscono regole ancora più dettagliate. Sommando tutti gli annessi e connessi, la legge sfiora le 30mila pagine.
Anche la tanto celebrata Volcker rule, che punta a erigere un muro più solido fra la prosaica attività di sportello e la rischiosa compravendita di titoli in proprio, è stata in gran parte svuotata durante il passaggio legislativo: la semplice idea dell'ex presidente della Federal Reserve è stata sequestrata e depotenziata in centinaia di pagine di legalese.
Il problema, almeno, è semplice: man mano che la finanza è diventata più complicata, i regolatori hanno cercato di stare al passo adottando regole ancora più complicate. È una corsa agli armamenti che gli organismi di regolamentazione pubblici, con i loro fondi limitati, non possono sperare di vincere.
A metà degli anni 90, gli studiosi cominciarono a pubblicare saggi che suggerivano che l'unico modo efficace per regolamentare le banche moderne è una forma di autoregolamentazione. Lasciamo che siano le banche a disegnare i loro sistemi di gestione del rischio, controlliamo i loro bilanci il meno possibile e puniamole severamente se producono perdite al di fuori dei parametri concordati.
Molti economisti sostenevano che questi arguti modelli erano inadeguati, perché la minaccia di una punizione non era credibile, specialmente nel caso di una crisi di sistema che colpisse gran parte del sistema finanziario. Ma i saggi furono pubblicati comunque e queste idee vennero messe in pratica. Non è necessario riepilogare le conseguenze.
Il modo più chiaro ed efficace per semplificare la regolamentazione è stato proposto, in una serie di importanti saggi, da Anat Admati, di Stanford (con vari coautori fra cui Peter DeMarzo, Martin Hellwig e Paul Pfleiderer). Il punto fondamentale della loro tesi è che le società finanziarie devono essere costrette a finanziarsi in modo più equilibrato e a non fare così tanto affidamento sul capitale di debito. Admati e i suoi colleghi raccomandano l'adozione di requisiti che costringano le società finanziarie a generare finanziamenti dal capitale proprio, o attraverso utili non distribuiti o, nel caso delle società quotate in Borsa, attraverso l'emissione di azioni. La situazione attuale consente invece alle banche di sfruttare l'assistenza dello Stato per tenere margini sottilissimi sul capitale proprio, affidandosi al capitale di debito molto più di quanto non facciano normalmente le grandi aziende degli altri settori. Alcune di queste grandi aziende, ad esempio la Apple, non hanno quasi debito. Fare maggior affidamento sul capitale proprio garantirebbe alle banche un ammortizzatore molto più efficace contro le perdite.
Il settore finanziario lamenta che gli sforzi per incrementare il finanziamento da capitale proprio limiterebbero il credito, ma in un contesto di equilibrio generale è una pura e semplice sciocchezza. Tuttavia i Governi sono stati molto timidi su questo fronte. Ovviamente non è facile realizzare riforme finanziarie in un'economia globale in stagnazione, perché c'è la paura di bloccare il credito e trasformare una ripresa stentata in una recessione a tutto tondo.
L'idea in voga di consentire alle banche di emettere "capitale contingente" (obbligazioni che diventano azioni in caso di crisi sistemica) non è più credibile dell'idea di impegnarsi a punire severamente le banche nell'eventualità di una crisi. Un sistema più semplice e più trasparente condurrebbe in ultima analisi a più credito e più stabilità, non il contrario. È tempo di riportare il buon senso nella regolamentazione dei mercati finanziari.
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