L'inferno delle carceri e la soluzione indulto

Trattamenti inumani e degradanti». Con queste parole la Corte Europea dei diritti dell'uomo, nell'agosto del 2009, condannò l'Italia a risarcire un detenuto bosniaco costretto a vivere in cella in uno spazio di circa 2,7 metri quadrati contro i 7 stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura come spazio minimo sostenibile. C'è da sperare che gli esperti della Corte non mettano mai piede a Napoli, nel carcere di Poggioreale, dove in stanzoni di 25-30 metri quadrati convivono fra le 15 e le 20 persone, con uno spazio a disposizione non superiore al metro e mezzo, bagno compreso. Un caso isolato? Tutt'altro, diciamo piuttosto la normalità visto che ormai il terzo piano dei letti a castello nelle celle è prassi comune e addirittura nel carcere romano di Regina Coeli, prima dell'estate, mancavano anche i materassi e i detenuti erano costretti a dormire in terra. Gli istituti di pena sono sul punto di esplodere e allora si è costantemente alla ricerca di spazi utilizzabili: a Rebibbia, per esempio, la sala ricreativa è stata già trasformata in dormitorio e a Spoleto la sezione degli ergastolani è stata chiusa, e gli "ospiti" trasferiti altrove per poter così utilizzare a pieno le celle altrimenti destinate ad uso singole. Clamoroso, poi, è il dato relativo alla casa circondariale di Latina dove, per una capienza di 86 persone, a fine agosto erano rinchiusi 170 detenuti. E il risultato, testimonia l'associazione "Antigone", è che «la mancanza di spazi lede i livelli di vivibilità, per cui si verificano emergenze continue di detenuti in crisi di astinenza o episodi di autolesionismo, due o tre al mese, prevalentemente tagli o ingestione di oggetti». Un disagio comune alla stragrande maggioranza degli istituti dove, dall'inizio dell'anno, si sono registrati 121 casi di suicidio. L'ultimo a Secondigliano dove domenica un detenuto di 50 anni si è impiccato con le lenzuola mentre era in isolamento». Perché aldilà dei numeri, sono le storie di ordinaria disperazione a raccontare meglio di qualsiasi altra cosa che cos'è oggi in Italia il pianeta carceri. Un inferno popolato da più di 66mila invisibili per una capienza "ufficiale" di poco superiore alle 45mila unità. Ufficiale, però, perché la realtà è profondamente diversa e i numeri decisamente più bassi se solo si tiene conto di quanti padiglioni, in giro per l'Italia, sono chiusi per manutenzione: a Livorno, per esempio, più della metà degli spazi al momento è inutilizzabile e soltanto nel carcere romano di Regina Coeli sono ben due le sezioni fuori uso.
«Nelle carceri italiane si vive ormai in condizioni disumane», commentava ieri il ministro della Cooperazione e della Integrazione Andrea Riccardi. Una situazione troppo spesso ignorata che neanche le interrogazioni parlamentari e le denunce pubbliche (meritorie quelle fatte dai Radicali in questi anni) sono riuscite a cambiare. Una situazione su cui il monito del presidente della Repubblica Napolitano ha riacceso i riflettori dopo inni di silenzio. Sei sono infatti quelli pas;ati dall'indulto varato dal governo Prodi topo l'accorato invito dell'allora Pontefice Giovanni Paolo II. Ma il venticinquesimo provvedimento simile dal dopoguerra ad oggi portò fuori dal carcere, soltanto nell'agosto del 2006, circa 25mila detenuti scatenando polemiche basate, il più delle volte, sull'ipotizzato aumento dei reati e della pericolosità delle strade italiane. «Tutti i ladri liberi», infatti, divenne ben presto una delle accuse a cui il governo Prodi si trovò a dover ribattere. La realtà, però, è ben diversa e il tempo galantuomo si è affrettato a dimostrare, invece, il contrario: perché delle decine di migliaia di persone tornate in libertà dopo l'indulto "soltanto" il 33,92% è poi tornato in carcere nell'arco dei 5 anni successivi (12.462 in totale). Una percentuale che sembra alta, ma che certo non lo è se paragonata a quella della recidiva "normale" che si assesta intorno 68,45% nell'arco dei sette anni successivi alla scarcerazione. Il che significa, detto più semplicemente, che chi è uscito dalle sbarre per l'ultimo indulto è tornato a delinquere con minor frequenza rispetto a chi invece ha scontato per intero la pena. Altro dato di solito ignorato, invece, è quello relativo alla nazionalità dei recidivi: fra i beneficiari dell'indulto, infatti, la recidiva degli italiani è infatti di ben 13 punti percentuali inferiore rispetto a quella dei cittadini stranieri. Decisamente più bassa, invece, è la recidiva fra coloro che hanno beneficiato dell'indulto trovandosi in una condizione di misura alternativa (soprattutto domiciliari), una percentuale che si assesta attorno al 22%.
Sicurezza a parte, però, è l'evidenza del sovraffollamento carcerario a rendere non più procrastinabile la necessità di un intervento. «Uno spettacolo indegno che non fa onore all'Italia e ne ferisce la credibilità internazionale», ha tuonato il presidente Napolitano. «È sacrosanto che oggi si torni a parlare di provvedimenti urgenti - commenta Patrizio Gonnella, presidente di "Antigone" - Perché il sovraffollamento non è una calamità naturale, bensì la conseguenza di leggi ingiuste e repressive». Ma a sperare che l'invito di Napolitano non resti lettera morta ci sono soprattutto i Radicali: «Sarebbe l'unico modo per porre rimedio all'attuale situazione di illegalità - commenta Rita Bernardini - Oggi il soggiorno nelle carceri è sempre più un trattamento disumano e degradante, e non si può accettare che sia lo stato a violare le leggi e i principi costituzionali».
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