Lettere: è alleato del crimine anche chi ammassa i reclusi come se fossero bestie…

Secondo il dott. Pietro Grasso, allora procuratore nazionale antimafia, oggi autorevole presidente del Senato, “la criminalità si pone come rete di servizi”.
Credo che la definizione sia assolutamente calzante e rispondente al metodo che essa, soprattutto quella organizzata, adotta nei confronti dei suoi interlocutori intesi sia come aderenti, sia come simpatizzanti, sia come vittime.
Nulla, infatti, giova di più alla criminalità se non uno Stato assente, inadeguato, litigioso, autoreferenziale, impastoiato, instabile. Giova alla criminalità uno Stato che trascura parti del proprio territorio, come accade al Sud; giova alla criminalità uno Stato rappresentato da una classe politica non all’altezza del compito che essa dovrebbe svolgere; giova alla criminalità un sistema istituzionale che esalta il conflitto piuttosto che la soluzione; giova alla criminalità uno Stato che non guarda agli amministrati bensì agli amministratori, come accadrebbe se si pensasse che le ferrovie debbano essere funzionali ai ferrovieri piuttosto che ai passeggeri, le scuole agli insegnanti piuttosto che agli allievi, gli ospedali ai medici piuttosto che agli ammalati; giova alla criminalità una burocrazia incompetente, corrotta o semplicemente svogliata.
Insomma, giova alla criminalità un sistema inefficiente, incerto ed insicuro, a cui sostituirsi, con “una rete di servizi”, ogni volta che ciò sia possibile, magari grazie a qualche aiutino più o meno consapevole.
In tutti questi casi la criminalità si insinua nelle fessure provocate dalle lesioni dello Stato e dilaga, come sta accadendo nel sistema penitenziario italiano, che ormai fa acqua da tutte le parti, per responsabilità varie e diffuse.
Già, perché se lo Stato delegittima se stesso, tradendo il dettato costituzionale e le disposizioni sulle carceri, se legifera male, se amministra peggio, se non offre opportunità scolastiche o lavorative, se non contrasta l’offensivo sovraffollamento, se ostacola, attraverso il ricorso a maldestri quanto sprovveduti funzionari, l’azione di chi, come i garanti dei diritti dei detenuti, tenta di contribuire a ricostituire atteggiamenti legali nelle carceri, ecco, in questi casi, lo Stato, con la complicità, anzi, grazie all’opera di taluni ben individuati soggetti, diviene il migliore e più sicuro alleato della criminalità che, invece, dovrebbe voler contrastare.
Intendo dire che è alleato del crimine chi allunga i tempi della giustizia, chi ammassa i reclusi come se fossero bestie, chi non adegua gli organici della polizia penitenziaria, chi non recepisce le norme sulla sanità in carcere, chi definanzia le leggi per il lavoro ai detenuti.
Così come è alleato della criminalità chi tenta di indebolire, con iniziative che somigliano tanto ad un “avvertimento”, l’azione dei Garanti dei diritti dei detenuti e chi tutela la burocrazia inetta quanto infedele, che costituisce l’humus nel quale meglio attecchirà la corruzione, il crimine, la violenza e la sfiducia verso atteggiamenti legali.
Non credo che una tale situazione possa essere ulteriormente tollerata, anzi, penso che sia dovere di ciascuno, dei Garanti in particolare, non tollerare affatto persone, luoghi o situazioni che costituiscono, consapevolmente o non consapevolmente, il terreno di coltura dell’antistato. Lo Stato vince se ha la forza di resistere persino ai mali che esso stesso rischia di causare. Per raggiungere la meta non vi sono scorciatoie né giustizialiste, né sicuritarie, ciò che serve è il buonsenso e la legalità da parte di tutti, persone e istituzioni.
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