Lettera: una tomba per due cadaveri

Dalla Rassegna stampa

Tu costringi molti a cambiare idea su di te; essi te la faranno pagare caro. (Nietzsche)
Oggi Giuseppe ed io, durante l’ora d’aria nel carcere di Padova, passeggiavamo nel cortile di cemento a falcate lunghe e regolari. Come facciamo di solito. Avanti e indietro. Da una parete all’altra. E con gli occhi della mente che attraversano i muri. Appartati. E in silenzio. Ognuno per i fatti propri. E con i propri pensieri.
Quando passeggiamo nelle vasche di cemento (così chiamiamo i passeggi dei carceri) sembriamo delle ombre. E ci muoviamo come loro perché siamo uomini ombra (così si chiamano fra di loro gli ergastolani ostativi a qualsiasi beneficio penitenziario, destinati a morire in carcere) senza nessuna metà e nessuno scopo.
Ad un tratto Giuseppe mi ha detto: “Non capirò mai perché al di là dal muro di cinta se un vigile ferma un’auto con sei persone, che ne potrebbe trasportare cinque, fa la multa e sequestra la macchina, invece in carcere in una cella costruita per un detenuto, ce ne inseriscono due, a volte tre, e nessuno dice nulla”. Ed io gli ho risposto: “Probabilmente perché in carcere non ci sono vigili”.
Siamo scoppiati a ridere. E tutti i nostri compagni si sono voltati. Ci hanno guardato. Hanno scrollato le spalle. Poi ognuno di noi, come degli zombi, ha continuato a pensare ai cazzi suoi. Io ai miei. Ed ho pensato che non si può vivere condividendo la propria tomba con un altro cadavere. Preferirei mille volte morire di fame e riprendermi la poca intimità di quando stavo solo nella mia cella-tomba, a guardare le stelle e la luna fra le sbarre della finestra.
Le cose sarebbero diverse se ci dessero la possibilità, o anche una sola speranza, che un giorno potremmo tornare uomini vivi. In questo caso dividerei volentieri la mia tomba, non con un cadavere, ma con altri dieci.
Ad un tratto il mio cuore mi ha sussurrato: “Se i tuoi guardiani non ti daranno mai la libertà, perché gli hai permesso di levarti quel poco spazio che ti rimaneva?”. Poi è finita l’ora d’aria ed io sono ritornato nella mia tomba, insieme a un altro cadavere, pensando che il mio cuore ha sempre ragione. Ed ho riletto il reclamo che ho presentato al Magistrato di Sorveglianza:
(…) premesso che qualche funzionario del Ministero dev’essere un mago dell’edilizia carceraria perché nel carcere di Padova, con un solo colpo di penna, s’è inventato e creato altri venticinque posti letto (raddoppiando la capienza della sezione AS1 Blocco “7” lato “A”) mettendo nelle tombe degli uomini ombra - abituati a stare in celle singole alcuni da oltre venti anni - un altro cadavere; premesso che il Magistrato di Sorveglianza di Padova, nella sua ordinanza n. 2012/1543 del 25.10.2012, ha stabilito: “Orbene osserva il Giudice che sussiste il diritto del detenuto all’allocazione in cella singola ai sensi dell’art. 22 c.p. in quanto condannato all’ergastolo con isolamento notturno.”;
premesso che nonostante questo provvedimento giurisdizionale il reclamante è stato obbligato ad allocarsi con un’altra persona nella stanza; premesso che l’istante fra l’altro è iscritto all’Università di Padova alla Facoltà di Filosofia e quest’anno ha già svolto cinque esami e sugli studi universitari il Regolamento di Esecuzione stabilisce: “I detenuti e internati, studenti universitari sono assegnati, ove possibile, in camere e reparti adeguati allo svolgimento dello studio” (art. 44 comma 4 R.E.); per questi motivi, il sottoscritto chiede tutela ed esecutività della precedente Ordinanza che ha emesso questo Ufficio di Sorveglianza. Credo che rimarrò inascoltato anche stavolta.

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