Lettera - La prigione nella prigione

Caro Furio Colombo, non dirò che sono meravigliato del silenzio intorno al digiuno di Pannella. È un fatto abituale. Ma la ragione come si fa a ignorarla, persino se non si vuol parlare di Radicali? La ragione è che le prigioni esplodono, mancano le guardie e la finzione di costruire nuove prigioni non viene neppure più ripetuta. Pannella dice "amnistia" e si leva un coro indignato. Capisco, se l'indignazione si accompagnasse con una soluzione diversa. Invece c'è irritazione, poi silenzio e basta. Tu vedi una via d'uscita?
Tommaso
Purtroppo conosciamo la sequenza. Prima si ignora in modo rigoroso quella strana cosa che è il digiuno per una causa o ragione umana o politica. Poi comincia a crearsi un po' di attenzione sul personaggio che digiuna, visto e commentato con pazienza, poiché è persona non giovane, che rischia. Se necessario si disputa sul metodo e sulla sua efficacia in politica. Infine, saltando il tema disperato delle prigioni dove il suicidio è diventato un modo regolare per "uscire", si discute di amnistia. E dal momento che - in effetti - l'amnistia come istituzione giuridica si presta a obiezioni,discussioni, raffronti storici e riflessioni morali,va del tutto perduta la ragione estrema che induce il digiunatore a invocare l'amnistia. Il punto non è se sia o no ragionevole e giusto
amnistiare i carcerati adesso. Il punto è dove metterli. O meglio come farne uscire una parte che consenta all'altra di sopravvivere, e consenta di riavvicinare la detenzione a una condizione umana, per quanto punitiva, non a una insopportabile tortura. E a coloro che sono pronti ad aprire un dibattito sugli effetti negativi di una amnistia, Pannella, ad ascoltarlo, spiegherebbe che c'è già una amnistia, vasta e molto conveniente per coloro che possono concedersi buoni avvocati. Un po' di pazienza e arriva, in un modo o nell'altro, la prescrizione. L'amnistia, come la vede Pannella, è una misura necessaria e calcolata per far fronte a una emergenza. L'emergenza affollamento disumano non è minore della emergenza di un incendio o di una alluvione. Invece di aprire un dibattito, se qualcuno brucia o affoga, prima cosa si creano vie di fuga.
Tutto questo sarebbe chiaro e anche elementare se Pannella avesse lo stesso accesso ai media della solida tribù del microfono aperto (in USA si dice "Talking Heads"), una tribù a numero chiuso dove (veniamo a sapere) non si entra senza una buona parola di Bisignani (ciascuno ha il suo Bisignani). Ma Pannella, da bravo, fa il suo sciopero della fame da due mesi. E, da alcuni giorni, è passato allo sciopero della sete. Non è proprio un ragazzino ma continua a provare. Ci aiuta, se non altro, a mettere in graduatoria ordinata i mali che affliggono il Paese: primo, il sistema delle informazioni, secondo la politica, terzo le carceri. Ma nei primi due si vive alla grande. Nel terzo si muore. Ed è per questo che Pannella pianta la grana. E rischia.
© 2011 Il Fatto Quotidiano. Tutti i diritti riservati
SU