Lettera - Meno spesa? Bisogna mutare blocco sociale

Al direttore - La mancanza di fondi pubblici, come giustificazione delle difficoltà a varare misure che aiutino la crescita italiana, è solo una scusa mal trovata. Che peraltro reitera e consolida un vizio "mentale" mortale. Che sia lo stato, in quanto erogatore di spesa pubblica, il motore unico delle attività economiche. Mentre invece dovremmo prendere atto, finalmente, dell'essiccamento di questa sorgente e spingere verso misure pro crescita che smobilitino un apparato normativo inutilmente oppressivo della libertà economica, ma accettato e condiviso dalle diverse corporazioni italiane proprio perché scambiato con i rubinetti dei sussidi pubblici. Fino a paradossi come quello per cui da un lato si puntano gli occhi sui risparmi possibili derivanti dalla riduzione dei mille trasferimenti dallo stato alle imprese e dall'altro... si chiedono nuovi incentivi per le imprese italiane. Anziché, per esempio, utilizzare le eventuali risorse per ridurre il carico fiscale. Differenza? La seconda misura è automatica, la prima aggiunge potere discrezionale al complesso politico-burocratico.
L'altro giorno un giovane imprenditore di prima generazione, la sua (si esistono anche quelli), ricordava in un convegno, che la prima persona che gli è toccata pagare per tutti e tre gli start-up a cui ha dato vita è stata il commercialista. E la seconda il notaio. E poi la Camera di commercio. E poi... Già nell'atto di nascita di un'impresa lo stato italiano, con le sue norme e la sua inutile burocrazia, cerca di uccidere il neonato. A meno che non scenda a patti. Negli Stati Uniti l'apertura di una società avviene via internet con una spesa di poche decine di dollari. Lui- gi Furini, ex sindacalista Cgil e quindi non certo un padrone senza scrupoli, deciso ad aprire una pizzeria, ha raccontato in un libro che vale un manuale di economia t"Volevo solo vendere la pizza", Garzanti), l'incubo burocratico che lo ha portato al fallimento.
Francesco Giavazzi e Alberto Alesina hanno riassunto sul Corriere della Sera 10 misure che non costano niente e che darebbero una bella spinta all'economia italiana. Tutte condivisibili e senza costi. E anche per le infrastrutture, la cui dotazione è ormai insufficiente per l'Italia, come mostrano tutte le statistiche, e che i due economisti sottovalutano, basterebbe ricompensare il capitale privato con concessioni più lunghe o sgravi fiscali per mobilitare le risorse necessarie. Oltre naturalmente alla certezza del diritto, che è un'altra risorsa immateriale.
Ma, e qui sta il punto, mentre l'uso della spesa pubblica, ampiamente utilizzato nel secolo scorso da Dc, Pci e da tutti gli altri, elargisce e dà, e quindi genera consenso, quest'altra strada scombina equilibri e assetti. Si dovrebbe, come si diceva una volta, fare appello a un nuovo blocco sociale. Quello vecchio è equanimemente distribuito fra destra e sinistra e genera quella società dei due terzi, i garantiti, che nessuno può più mantenere. Il "welfare senza libertà", come lo chiama il radicale Marco Pannella, ha riguardato non solo i pensionati, ma un po' tutte le classi sociali. Ma la fonte che lo ha generato, la spesa pubblica, si è interrata. Provare l'inverso? Ci vorrebbe solo un po' di coraggio politico. L'unica risorsa che non si compra con il denaro pubblico.
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