Lettera - L'inferno sulla terra è un carcere sovraffollato

Dalla Rassegna stampa

In un anno ci sono stati nelle carceri più di 60 suicidi, e il rischio sale. Per esempio nei tre istituti penali di Milano non ci sono più fondi per far funzionare i centri di aiuto al disagio psichico. Che fare?
Rita M., Varese

Esattamente due anni fa segnalai in questa rubrica, come priorità della massima urgenza, il problema della salute fisica e psichica dei detenuti. Nulla è cambiato, e le rivolte che scoppiano sempre più spesso dimostrano che la situazione s'è fatta insostenibile. Ne fa fede la recente testimonianza della deputata Pd Rita Bernardini, che nella sua ispezione al carcere milanese di San Vittore ha riscontrato non solo disumane condizioni di affollamento (1.600 detenuti in spazi che dovrebbero accoglierne 600), ma tutta una serie di problemi gravissimi: mancanza di detergenti per lavarsi e lavare le celle, finestre che non si possono aprire perché ostruite dai letti a castello, e 20 ore al giorno da trascorrere in cella senza poter svolgere la benché minima attività. Certo, non c'è da meravigliarsi dell'alto numero di suicidi e di tentati suicidi, o degli oltre 5 mila atti di autolesionismo all'anno, che chi non vive questa realtà può stentare a credere: i detenuti, per farsi inviare in ospedale, ingoiano lamette da barba, chiodi, molle dei letti; si sfregiano, s'infliggono tagli all'addome, si cuciono la lingua e le labbra. Poi ci sono, numerosissimi, gli ammalati, curati poco e male. Tubercolosi, Aids, epatite virale e gonorrea sono all'ordine del giorno. Le prigioni sono orrende incubatrici che diffondono il contagio anche ai detenuti entrati sani. Tanto per capire, in carcere si ha una probabilità 30 volte superiore alla media di ammalarsi di Tbc.

Questo è il quadro. Un quadro agghiacciante, al quale va aggiunto un dato: la lentezza della giustizia moltiplica il numero dei detenuti in attesa di giudizio, metà dei quali verrà poi assolto. Bisogna quindi smettere di cavalcare il riformismo ipocrita che vuole costruire nuove carceri e migliorare quelle esistenti. «L'ottimo carcere non esiste», scriveva Norberto Bobbio nel lontano 1973. Bisogna invece diminuire il numero dei carcerati, assicurando lo svolgimento dei processi entro tempi certi (io dico con forza: 60 giorni al massimo, e i giudici ormai hanno gli strumenti tecnologici che servono ad accelerare), e applicando molto di meno la pena detentiva. Resteranno in giro più delinquenti? Forse. Ma riempire le prigioni è, a mio parere, una perversione del potere dello Stato.

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